27/11/22

Un brindisi da ricordare


La situazione era questa: eravamo io, Marco, Mattia, Alessandro, Elena, Marta e Giulia. La serata volgeva al termine mentre iniziava l’ultimo giro di bevute. Il tempo era volato, fra una chiacchiera e l’altra, risate, battute e ricordi speciali.
- A cosa brindiamo stavolta? - Aveva domandato Giulia.
- A momenti come questo. - Aveva risposto Elena.
- Banale. -
- Allora proponi tu, Mattia. Sentiamo quanto è originale il tuo. - Era intervenuta Marta in difesa della sua amica.
- Io direi di bere e basta. I brindisi sono una perdita di tempo. - Aveva detto Ale.
- Se andiamo avanti così non la finiamo più. Fate come vi pare, io nel frattempo bevo. - Avevo concluso, prima di appoggiare le labbra al mio bicchiere e mandare giù. Gli altri mi avevano seguito e così anche l’ultimo giro era andato. Poi, nel silenzio generale, Marco si era alzato e aveva fatto uno dei suoi annunci: - Ragazzi, qui c’è qualcosa che non quadra. -
- Del tipo? - Aveva chiesto Mattia.
- Ora non cominciare con le tue follie, Marcolì. È tardi. -
- Lasciamolo parlare, Marta. Sono curiosa di sentire cosa si inventa questa volta. - Aveva detto Giulia.
Per darvi un’idea di ciò che sarebbe potuto accadere, dovete sapere che Marco era un tipo un po’ particolare. In realtà sarebbe più opportuno dire che non ci stava molto con la testa. Oppure ci stava più di tutti noi messi insieme; questo potrebbe spiegare il perché non riuscivamo mai a seguirlo nei suoi viaggi.
- Non ditemi che non ve ne siete accorti. - Aveva proseguito Marco dopo aver posato il suo bicchiere sul tavolo. - Dovete esservene accorti per forza. -
- Ma di cosa? - Avevo chiesto io, impaziente di arrivare al dunque.
A quel punto Marco si era spostato. Era andato prima verso il bagno, affacciandosi all’interno, poi in cucina e poi in camera da letto. Infine era tornato nella sala in cui eravamo tutti in attesa di una spiegazione.
- Allora? - Aveva domandato Elena, dando voce ad ognuno di noi.
- Allora spiegatemi perché Andrea si trova qui con noi. Avanti, spiegatemi il motivo. - Aveva risposto Marco con le braccia incrociate.
Io e gli altri ci eravamo guardati con certe espressioni che erano tutte un programma; avevamo il timore che la faccenda potesse prendere una strana piega, difficile da gestire o da mandare giù.
- Marco... - Avevo proseguito io. - Se stai parlando del nostro Andrea, è chiaro che lui non può trovarsi qui con noi. Quindi, perdonami, ma di chi stai parlando? -
Marco aveva preso un gran respiro, come se avesse dovuto prepararsi al discorso della vita. 
- Certo che sto parlando di lui, amico mio. Di chi, altrimenti? -
Poi si era interrotto all'improvviso mentre sembrava dovesse aggiungere altro. Ci aveva fatto segno di fare silenzio, anche se nessuno di noi pareva intenzionato a dire qualcosa. Si capiva che l'idea generale era quella di farlo sfogare, nella speranza che finisse il prima possibile; si stava addentrando in un campo minato, e nessuno di noi sarebbe stato in grado di schivare una bomba.
All’improvviso si erano spente le luci e aveva cominciato a fare freddo. Gelo, a dire la verità.
Eravamo seduti intorno al tavolo, mentre Marco era ancora in piedi davanti a noi, le mani protese nella direzione opposta alla nostra.
- Forse ora ho capito… - Aveva annunciato, prima di girarsi verso di noi con in mano un foglio.
Si era avvicinato al tavolo e aveva posato il foglio fra i resti della cena. Ci siamo allungati tutti per vedere meglio di cosa si trattasse; le tre candele accese erano l’unica fonte di luce in quel buio pesto. Il gelo si era attenuato.
Avevo notato subito che era un foglio liscio, senza alcuna piegatura. Su di esso c’era scritto: “I brindisi non sono mai una perdita di tempo, Ale. E già che ci sono (si fa per dire), vi consiglio di brindare alla vostra bellezza.
Ci rivedremo, chissà, in qualche altro posto.”
Le righe, come avremo notato qualche secondo dopo, provenivano senza dubbio dalla vecchia macchina da scrivere di Andrea, mentre la sua firma (con la sua calligrafia) era impressa a penna.
Siamo rimasti per qualche istante mezzi pietrificati. Marta era scoppiata a piangere, e mentre singhiozzava era tornata la luce nella stanza.
Marco aveva preso in mano il suo calice e aveva guardato a turno ognuno di noi. Alla fine ci eravamo alzati e lo avevamo assecondato.
Non so di preciso a cosa stessero pensando gli altri durante quel brindisi impossibile, ma una vaga idea me l’ero fatta.

24/11/22

Ti tengo in pugno


Lui era steso a pancia sopra, con la mano sinistra nei capelli di lei che gli stava addosso con il suo seno umido. La mano destra si divideva fra la sigaretta e il bicchiere di whisky con ghiaccio. I loro piedi giocavano. La radio passava gli Stones.
-Sai, Otis, stavo pensando a una cosa.-
-Che la musica non ti piace? Under My Thumb è un bel pezzo.-
-No. Stavo pensando che forse mi sono innamorata di te.-
-Sentirselo dire dopo una scopata non mi fa impazzire dalla gioia, chery, ma è già qualcosa.-
-Allora mi ami anche tu, cerbiatto?-
Otis guardò con tristezza il fondo del bicchiere, poi si alzò per fare rifornimento lasciando la piccola chery sola, nel grande letto a due piazze.
-Non lo so.-
La donna non aprì bocca per qualche secondo ma continuò a fissare Otis. Aveva tutta l’aria 
di una cagnetta abbandonata che osservava con amarezza e rancore il suo bastardissimo padrone.
-Conosco quell’espressione, chery. Al Moulin Rouge ti pagano pure per impietosire, oltre che per alzare la gonna.-
-Con te ha funzionato, figlio di puttana.- A differenza del contenuto, il tono era quasi dolce. Come se l’avesse chiamato di nuovo cerbiatto.
-Ha funzionato come la pacca sul culo che ti ho dato nel parcheggio.-
-Si. E ho capito subito che non eri un francese.-
-Mi chiamo Otis. Sono americano. Cosa ti aspettavi?-
-Avresti potuto portarmi sulla riva della Senna. Avresti potuto baciarmi a mezzanotte, come in quel film di Woody Allen.-
-Midnight in Paris dici? Non mi pare che Gil si baci con qualcuna a mezzanotte.- Otis mandò giù un altro bicchiere, in piedi, con un'aria indisponente. La piccola se lo guardava. L'avrebbe ucciso con le proprie mani, se ne avesse avuta la forza.
-E comunque, chery..- Posò il bicchiere sul bancone, che aveva il segno di troppi gomiti, come quelli dei pub. -Quando siamo usciti, la mezzanotte era già passata da un pezzo.-
Guarda di chi mi sono innamorata, pensava la piccola chery mentre si girava dall'altro lato del letto. Ora, dalla finestra spalancata, riusciva a vedere una parte della Torre Eiffel. Lo faceva sempre, quando era da Otis. Le piaceva quella prospettiva, cioè di una vita con lui. Le piaceva da morire. La sarebbe venuta a prendere al locale quando staccava presto e l'avrebbe portata a mangiare carne da Lorette. Magari non tutte le sere, ma almeno due volte alle settimana. E se aveva il turno di notte, avrebbe cucinato per lei. Sempre sulla luna, eh? Pensava. Con i piedi per terra, mai?
Ora Otis era seduto sul letto, dalla propria parte. Stava dando qualche tirata alla sigaretta.
-Ti ricordi quando l'abbiamo fatto in sala prove?- Le domandò.
-Si.- Se lo ricordava bene, la piccola chery.
-Tu eri seduta alla batteria e facevi finta di suonarla, perché non sapevi come fare. Io ero steso sul tappeto. Ti sei alzata, hai toccato il piatto con due dita e hai improvvisato un ballo sotto le note di Cover Me.-
-Di chi è quel pezzo?- Non se lo ricordava.
-Bruce Springsteen.-
Fece un'altra tirata, poi continuò.
-Mi dissi che non mettevo mai musica francese, e io ti promisi che la volta dopo l'avrei fatta scegliere a te. Ma nessuna delle successive fu bella come quella volta.-
-Credi che non furono belle per colpa della musica?-
-Non lo so, chery. Ma è un dato di fatto.-
La piccola si girò verso Otis.
-Già che ci siamo, ti ricordi altro di quel pomeriggio in sala prove?-
-Dovrei?- Fece lui, realmente dubbioso.
-Per terra. Vicino alla cassa della batteria. Un tanga. Molto simile a questo, ma non identico.- La piccola tirò l'elastico di quello che indossava, poi lo lasciò sbattere sui fianchi.
-Vuoi farlo di nuovo?- Le domandò.
Lei si mise seduta accanto a lui e diede un'occhiata là sotto.
-Ti stai eccitando, cerbiatto. Non era questo il mio scopo ma tanto vale...- Gli mise la mano sul pene nudo.
Lui tentò di girarsi. Voleva farsela di nuovo.
-No. Rimani seduto. Voglio continuare così.- Gli disse.
Otis stava cominciando ad eccitarsi parecchio.
-Che ore sono?- Domandò lei.
-Hai fretta, chery?- Alzò la testa verso l'orologio a muro sopra al frigo. -Quasi le 2.-
-Allora ci siamo.- Gli disse, sorridendo. Poi smise di toccarglielo.
Otis se la guardò. Non capiva che cazzo stesse dicendo, e perché si fosse fermata. Avrebbe capito pochi istanti dopo, ma non in quel mondo.
-Addio, cerbiatto.- Gli sorrise di nuovo, e Otis andò indietro a corpo morto. Mezzo steso e completamente nudo. Con un buco in testa.
Il colpo si era percepito davvero poco. Avrà usato un silenziatore o qualcosa del genere, pensò la piccola chery. Se ne avesse saputo qualcosa di questa roba, non avrebbe certo pagato un professionista.
Ora chery era in finestra, si limitò ad alzare il pollice. Lui, al secondo piano del palazzo di fronte, sopra a Lorette, le fece un cenno con la mano che lei non capì. Sarà un loro modo di dire “ok”, pensò. Sono strani, questi tipi. E pure costosi. Ma se non hai una pistola e non vuoi sporcarti le mani, sono un'ottima soluzione. Pensò che quello sarebbe potuto diventare il suo personale killer d'amore.
Tornò a sedersi accanto a Otis. Lo guardò dritto negli occhi spalancati.
-Avresti dovuto dirmelo, cerbiatto, a chi apparteneva quel tanga. Se me l'avessi detto, che era di quella puttana della mia collega, non avrei dovuto farmi un culo così per scoprirlo da sola. Te l'avevo detto che non era mio.-
La piccola chery, che ora piangeva, era stata un'ottima attrice quella notte. Aveva fatto la parte della donna presa per il culo, che non sapeva di esserlo. Una donna tenuta in pugno dal proprio cuore, che non ha le palle di vedere in faccia la realtà e di metterlo nel culo a lui.
Ma quella notte, fra le varie cose che la piccola chery aveva tenuto in pugno, c'era pure il proprio cuore.
Quella notte, la piccola chery gliel'aveva messo nel culo. A modo suo.

(2013)

20/11/22

Maneggiare con cura


- Levatele il vino, per cortesia. -
Aveva spezzato il silenzio e colmato il vuoto lasciato dall'imbarazzo; ora la stanza risuonava di vergogna.
Mirko l'aveva sostenuta, supportata, sollevata. L'aveva tolta dalla strada dopo che i suoi l'avevano cacciata di casa; ora non le rispondevano neanche più al telefono. Lei se lo sognava uno come Mirko, ma quando finalmente era riuscita a metterci le mani sopra, aveva iniziato a dare il peggio di sé. La parabola autodistruttiva di Veronica affondava le radici nel rapporto con i suoi, che per scherzo (dicevano loro) usavano definirla la pecora nera della famiglia. Non eccelleva in alcuno sport. A scuola brutti voti. Fuori di lei il vuoto mentre esplodeva dentro. Le compagnie non mancavano ma erano sporche e avvilenti. Non c'era via d'uscita per Veronica, se non quella di lasciarsi andare alla sperimentazione di certe sostanze; la via era tracciata. Il solco, profondo.
- Possibile che non ti rendi conto? - Aveva proseguito Mirko, dopo che Anna, sua sorella, aveva strappato il bicchiere dalla mano di Veronica. - Che diavolo stai facendo, Vero? Dove cazzo vuoi andare a finire? -
Lei, che fino a quel momento aveva riso di gusto, ma con poco gusto, si era bloccata per un istante ed era poi scoppiata in lacrime. Ora la vergogna urlava, e il suo viso si era nascosto nel maglione rosso di Anna. Mirko si era alzato e aveva aperto la finestra che dava sul cortile; un respiro profondo in cerca di aria nuova. Gli altri avevano accampato qualche scusa e avevano abbandonato l'appartamento. Ora che erano rimasti loro tre si poteva parlare più apertamente.
- Mi viene da vomitare. - Aveva annunciato Veronica.
- Ci penso io. - Anna aveva fatto un cenno a Mirko e l'aveva seguita in bagno.
Mirko proseguiva nella sua ricerca del respiro perfetto. Di recente aveva letto una specie di manuale sulla respirazione, che in pratica spiegava come respirare nel modo giusto. Stava facendo progressi, eppure in quel momento gli sembrava tutto maledettamente complicato, perfino respirare come Dio comandava.
Nel frattempo avevano citofonato. Doveva essere certamente Luca, famoso per dimenticare le cose in giro.
- Cosa ti sei scordato questa volta? - Aveva chiesto Mirko al suo interlocutore al citofono.
Dall’altra parte c’era stato silenzio per qualche istante, poi una voce balbettante aveva asserito di essere il corriere.
- A quest’ora? - Aveva chiesto Mirko, dubbioso.
- C’è il b…black friday. Fa…facciamo gli straordinari. -
Mirko aveva dato un’occhiata al suo orologio, che segnava circa mezzanotte.
- Mi sembra comunque troppo tardi per una consegna, e poi io non aspetto nulla. -
- N… non si preoccupi. Facciamo t… tutto noi. Tenga s…solo a mente che è una consegna c…catalogata come “fragile”. -
- Ok. - Aveva risposto Mirko, perplesso. - Devo scendere? -
- No no, s…sta già salendo lei. Buona f…fortuna. -

Mirko aveva aperto la porta di casa e si era ritrovato davanti Veronica. Nessuno dei due aveva aperto bocca. Lui era tornato alla finestra a cercare quel famoso respiro che molto probabilmente non avrebbe mai trovato, almeno per quella sera. Lei era dietro di lui, in attesa di qualcosa.
Dalla finestra opposta nel piccolo cortile, Mirko riusciva a vedere nitidamente una coppia che litigava. Lei aveva appena afferrato un coltello a l’aveva piantato nel cuore di lui; Mirko si stringeva la mano al petto dopo aver sentito una forte fitta.
Veronica era appena uscita dal bagno e aveva raggiunto Mirko davanti alla finestra. Lui si era girato e aveva visto solo Anna. 
- Come sta? - Aveva chiesto a sua sorella.
- Meglio. Ora si è messa a riposare. -
- Mi sta uccidendo, Anna. Lo capisci? -
- Si, fratellino. Lo capisco. E sinceramente non credo tu possa salvare entrambi. -
Anna aveva guardato Mirko negli occhi come forse mai aveva fatto finora.
- E te lo ripeterò fino alla nausea, fratellino: stai continuando a confondere l’amore con qualcos’altro. -
Mirko si era girato di nuovo verso il cortile; stava provando a respirare come gli aveva suggerito quel manuale.

20/06/22

Direzione notturna


Aveva due opzioni per quella sera. La prima, certamente non banale, era di acchiappare la tipa all'uscita del locale e di sviscerarle le sue intenzioni, dalla prima all'ultima. La seconda, più teatrale tendente al volgare, era di tentare un approccio diretto con quel suo stile originale, facendo danzare la lingua a ritmo di musica techno. Tra le due litiganti non avrebbe goduto neanche la terza, visto che la tipa si era allontanata con il quarto uomo; con lui era bastato uno sguardo d'intesa durante l'intervallo della partita. Ferito nell'animo e afferrato il divario, aveva deciso di tornare a casa e morire sul divano. Era complesso accettare la sconfitta. Era molto semplice dare la colpa ai tempi che correvano, visto che lui andava così piano da non muoversi mai; una lenta e infinita tortura di movimenti accennati e di amplessi negati. Il sesso con lui era una fregatura, e la tipa lo sapeva; l'ultima volta che l'avevano fatto era stata anche la prima. Lei a gambe aperte e lui con la bocca spalancata e la lingua di fuori, mentre la faceva danzare con quel suo stile originale ma ancora da affinare. All'inizio non andava così male, ma poi lei era scoppiata a ridere e lui non ci aveva visto più dalla rabbia. Si era innervosito, e non si sa come gli si era incastrata la lingua durante uno di quei volteggi. Lei, nel tentativo di liberarsi, aveva istintivamente accavallato le gambe, peggiorando una situazione a cui ormai era quasi impossibile porre rimedio. Uno scatto di quel momento, non si sa come, era finito sul social network preferito da lei, quello ancora da inventare. In fin dei conti, al danzatore di lingua era andata di lusso; la sua discutibile performance inosservata, la direzione notturna parzialmente esplorata.

09/05/22

La musica dall'altro mondo


Mi stavo godendo qualche minuto da solo, nel mio lato del letto. Sfogliavo pagine di un Dylan Dog un po' confuso, mentre un sole deciso annunciava la fine delle ostilità notturne.
-Devo dirti una cosa.- 
La mia ragazza si era appena svegliata, a quanto pareva, e aveva pronunciato queste quattro ansiogene parole.
Cristo, avevo pensato io. Mi avrà tradito. Quell'uscita dell'altra sera puzzava troppo; poco profumo, mille scuse.
Mi ero girato verso di lei e le avevo detto di proseguire, che tanto ormai ero super vaccinato. Ero pronto a tutto.
-Ho sentito la canzone dei miei nonni.-
Ok, almeno il tradimento era da escludere. Ma ora c'era il problema di capire bene cosa volesse dire, senza risultare né troppo superficiale, né poco sensibile; una missione per Tom Cruise.
-Hai capito cosa ti ho detto?- Mi aveva chiesto, mentre io riflettevo sulle parole da usare.
-Credo di si, amore. Ma se potessi darmi qualche dettaglio in più, potrei capire meglio.-
-Ho sentito la canzone preferita dei miei nonni.-
Ottimo. Ora era tutto molto più chiaro.
-Ora ti spiego meglio, ma fammi andare prima in bagno altrimenti me la faccio sotto.- Si era alzata velocemente, facendo cadere a terra l'imbarazzo che aveva lasciato in ricordo la notte.
Io avevo posato Dylan sul comodino e avevo preso un bel respiro profondo, sicuro che il discorso sarebbe andato sul ricordo dei morti; una delle cose più belle e allo stesso tempo angoscianti che possano esistere. Dovevo resistere alla conversazione. E farlo bene.
-Allora,- Aveva esordito una volta tornata a letto. -I miei nonni ascoltavano questa canzone. Era la loro canzone, capito? Qualcosa di meraviglioso che li ha uniti dall'inizio alla fine. Ora ti faccio sentire...- E aveva iniziato a canticchiare un motivetto, con quel suo modo distratto che ti prendeva il cervello e lo collegava al suo. -Hai capito qual è?-
Mi sembrava di ricordarlo, alla lontana. -è musica classica?- Le avevo chiesto.
-Ma certo che è musica classica. Cosa vuoi che ascoltassero i miei nonni? I Depeche Mode?- Si era alzata di nuovo e si era messa davanti al PC, forse con l'idea di rintracciare quel brano.
Mi ero alzato anch'io ed ero andato a sciacquarmi il viso, prima di raggiungerla e di aiutarla in quella ricerca che si annunciava quantomeno complicata.
-Può essere Mozart?- Le avevo chiesto, dopo averle dato un bacio sulla guancia.
-Forse.-
Ma invece non era Mozart e nessuno dei compositori che avevamo digitato. Lei aveva ripreso a canticchiarlo, io ad ascoltarlo. Non mi sembrava comune ma era certamente noto.
Erano passate delle ore, ma quella canzone non voleva proprio farsi trovare. Il ricordo di quella melodia inafferrabile aveva infine bagnato le guance della mia ragazza.
Mi ero girato verso la finestra e avevo notato che il sole era alto come mai. Siamo usciti con l'intenzione di cercare quella musica altrove, prima a piedi e poi in macchina; in spiaggia, poi in un borgo perduto.

Ancora oggi, dopo qualche anno, non siamo riusciti nell'impresa di riafferrare quella canzone, la canzone dei suoi nonni. Il ricordo rimane vivo. La bellezza, dentro di lei.

06/05/22

Anna 2.0


Il mistero di Anna si infittisce. Qualcuno di voi la ricorderà come la ragazza del weekend, altri come quella che è stata salvata dalla musica degli Abba. La dura verità è che Anna non riesce più a guardarsi allo specchio. Ne ha fatte di cose, nude, crude, al vapore e alla piastra. I suoi capelli lisci la ingannano. Nata riccia, cresciuta ad Ariccia e poi emigrata a casa di Costanza, ora Anna non si riconosce più; le cicatrici di un tempo passato le raccontano di un presente amaro e di un futuro con poca speranza. Ultima a morire, prima della sue specie, Anna era una ragazza solare che si abbronzava facilmente ma che si scottava con poco. Tradita dal suo storico Marco, aveva provato a distrarsi con il tiro con l'arco ed era finita a fare il Cupido della situazione; dava consigli sull'amore, faceva innamorare e accendeva la fiamma della passione. Ora Anna si osserva e cerca di afferrare il concetto di lei, mentre la radio passa un concerto degli Abba. L'unica chance per lei è quella di rifarsi una vita, da capo, senza mai più chinare la testa davanti agli abusi e ai soprusi. L'unico modo, per Anna, è quello di superare le cattive abitudini radicate in lei, accantonare le sue conoscenze radical chic e provare finalmente a darsi una ripulita. A patto di sopravvivere al weekend, da lunedì nuova vita.

05/05/22

...a viver come uomini

Il meccanismo vitale di un animale non dovrebbe essere al pari di quello umano. Procedere unicamente d'istinto, avvalersi del proprio corpo per corrompere, rompere, irrompere e fottere il prossimo a piacimento è quanto di più perverso possa esistere a questo mondo. Follie distruttive si cibano dell'elemento più puro: l'onestà. La verità è che le bestie siamo noi. Dirottati sul pianeta terra come rottami di antiche repulsioni, fondiamo il nostro credo su false emozioni, rigetti d'animo e oggetti da perforare. La performance migliore del genere umano è l'incapacità di arrendersi; non è ammissibile ammettere i propri limiti. Non è concepibile mettersi a nudo pur rimanendo vestiti; più facile spogliarsi della propria dignità e tuffarsi in un mare di vergogna. Che a viver come uomini non va più di moda.

03/05/22

L'odore della pioggia


Margherita, ti scrivo queste righe per farti sapere che ne ho le palle piene di te e dell'odore della pioggia. Mi spiace se non ho trovato il coraggio di dirtelo prima ma, sai com'è, non sono quello che tu credevi. Credevo anche io di esserlo, almeno in principio. Poi ho capito che per seguire te stavo perdendo me stesso. Ho resistito per quanto ho potuto, poi ho alzato bandiera bianca. Eravamo al concerto di Battiato, ricordi? Fuori pioveva a dirotto, mentre dentro vedevo solo il tuo sole che rischiariva le mie intenzioni; non avevo capito un cazzo di te, eppure ero completamente cotto. Non si sa di cosa, poi. In cucina sei sempre stata una frana, mentre io me la cavavo abbastanza. A letto eri poco più che passiva, mentre io almeno mi attivavo quando serviva. A parole non eri brava, a gesti ancora meno. Però su una cosa non ho da rimproverarti nulla; sei sempre stata te stessa, almeno con te. Io non ti ho mai conosciuta davvero, a parte sotto la pioggia, che mi piaceva così tanto perché era l'unico momento in cui finalmente tacevi. Tu che parlavi eri un po' come la grandine che sbatteva sul nostro passato: un vizio di forma, come l'errata compilazione della nostra storia. Un gigantesco malinteso che si reggeva su una parziale intesa fisica, mentalmente instabile e totalmente priva di fondamento. Mi spiace davvero di non essere stato in grado di abbandonare prima la tua follia. Solo ora che mi trovo in questa degradante monotonia di semplicità, mi rendo conto di quanto tu fossi imprescindibile per curare la mia noiosa routine. Mi dispiace, Margherita, ma non ho resistito al tuo fiume in piena, a quel tuo straripare di azioni che non portavano a nulla, se non ad un circolo vizioso che culminava, puntualmente, in una tempesta di assurdità.
Ti ho amata, come ho amato l'odore della pioggia che si ripeteva ad ogni tuo silenzio.
Ora, Margherita, scusa ma ho deciso di riprendermi la mia vita.

01/05/22

Una commedia


Lato finestrino. Marco guarda fuori mentre ascolta musica in cuffia. Playlist della mattina consigliata da Spotify fino allo sfinimento; ambient, soft rock, leggera.
Giulia, seduta davanti a Marco, rimprovera Nicole in chat di essere troppo dura col suo ragazzo. Era stata solo un'uscita tra amici, e lei doveva allentare un po' il guinzaglio oppure sarebbe rimasta sola in eterno.
G:- Vado un attimo in bagno.-
M:- Non ti sento.- Indicandosi le cuffie.
Giulia sbuffa e lascia il suo posto libero. Marco torna fuori con lo sguardo. Lucky Man, The Verve.
Il treno rallenta e poi decide di fermarsi. Si scende, si sale, si saluta dalla banchina come nei film, si riparte in ritardo come nella realtà. Una Ragazza col vizio di non ascoltare si siede davanti a Marco.
R:- È libero, vero? Bene, perché ho aspettato questo coso per un'ora buona e ho le gambe che non mi reggono più.-
M:- Veramente quel posto sarebbe...- Prova a risponderle prima di essere interrotto.
R:- Fa un caldo pazzesco vero, non trovi anche tu?-
Marco prova a riformulare la frase per ben tre volte, ma il risultato non cambia. La Ragazza parla, parla e ancora parla. 
Intanto Giulia esce dal bagno e si ritrova davanti il suo ex.
G:- E tu che diavolo ci fai qui?- Meravigliata ma anche un po' felice.
Ex:-Ho una conferenza delle mie. Tu piuttosto dove stai andando? Solito giro a Firenze?- Tranquillo, pacato, come se quell'incontro sia stato programmato.
Giulia ci pensa ma in realtà ci ha già pensato appena l'ha visto.
G:- L'idea era quella...- Pausa. -Ma se invece venissi con te?-
La Ragazza continua a parlare mentre Marco decide di prendere il controllo del suo Spotify; Dead Horse, Guns N' Roses.
R:- Non trovi anche tu che le giovani coppie innamorate siano così belle da vedere?- Gli indica fuori con lo sguardo.
Nel deserto della banchina, c'è Giulia che sta baciando il suo ex.
R:- Prendi quei due, ad esempio. Che storia ci sarà dietro? Quali sono gli eventi che l'hanno portati fin qui? Non sarebbe bello scoprirlo?-
Con il brano giunto ormai alla fine, Marco guarda la scena e non prova nulla, a parte quel caldo che ora percepisce anche lui. Mentre il treno accenna una ripartenza, si toglie le cuffie e si gira verso la Ragazza.
M:- Raccontami di te.-

29/04/22

Segnali discordanti

Si erano fatti un cocktail di adrenalina che corrispondeva esattamente al loro stato d'animo: discordante. Non era quello il nome della bevanda, d'accordo, ma era intuibile che i due amanti avessero idee quanto meno contrastanti in merito al da farsi, e quella roba che avevano mandato giù ne era la prova. Il primo sorso era stato per lei come una potente dose in vena di zucchero, mentre per lui l'esatto opposto; amaro come un chicco di caffè o come il cacao più puro. Lei e lui avevano visioni diverse sulla loro storia d'amore o su ciò che stava diventando. Il mix di intenti poteva essere devastante. La discrepanza, quasi letale.

La serata procedeva a spizzichi e bocconi. Era iniziata nel migliore dei modi, e poi, nel mezzo, avevano preso piede il brutto carattere di lei e le braccia conserte di lui, che stavano a dimostrare la sua apparente sicurezza. L'unica certezza, a vederli da fuori, era che quei due stavano esplodendo dentro. E ora che l'effetto di quella roba si faceva sentire, stavano venendo a galla le sensazioni più oscure e le deviazioni più chiare.

La serata stava degenerando. Lei, inconsapevole per natura, aveva deciso di far sputare il rospo a lui. Mentre lui, preso d'assalto dal suo istinto animale, le era piombato addosso con le migliori intenzioni ma aveva fatto solo un gran casino; il vino a terra, le lacrime sul viso. Non c'era motivo per farne un dramma, ma la frittata era fatta; lui, sopra di lei a cercare un appiglio. Lei, sotto di lui a cercare il respiro.

La coppia era totalmente in affanno. Il sesso come via d'uscita, oppure un'uscita in grande stile ma senza godimento. I segnali erano discordanti. La crepa, quasi assordante.

27/04/22

Proteggimi

Ti osservo mentre mi osservi. Dolce, amara, non smettere di farlo.

Ti ascolto mentre mi parli. Onesta, bugiarda, non finirla qui.

Ti penso mentre sei distante. Sei in ritardo, non fermarti.

Ti cerco mentre ti nascondi. Acqua, fuoco, dammi un indizio.

Ti prendo mentre sei già scappata. Non svegliarmi.

T'invento quando non ci sei. Non svegliarmi.

Ti proteggo quando non lo meriti più. Svegliami.

L'uomo senza tv

Ho conosciuto un uomo senza tv, in questa era, in questo tempo. E quest'uomo, senza uno scatolone ultrapiatto di 46 pollici full hd con possibilità di gustarsi Avatar in 3D, era l'uomo più tecnologico che io abbia mai conosciuto. Non era al passo col tempo, non con il nostro. Il nostro l'aveva superato da una vita. Probabilmente era un cyborg. Parlava di politica, di matematica, di fisica, di gruppi punk e di un mucchio di altre cose, che io, 22enne ignorante, ignoravo. L'uomo senza tv andava al cinema. Secondo lui “Bastardi senza gloria” non era al livello di “Pulp Fiction” o di “Kill Bill”. Secondo me lo era. Ma ora non ne sono più convinto. È questo che succedeva di norma dopo circa 5 minuti di conversazione con l'uomo senza tv. Tutte le tue convinzioni vanno al tappeto come qualsiasi pugile che incontra Balboa nel suo momento di gloria. Nella sua specialità, l'uomo senza tv era un peso massimo. La situazione più normale del mondo, raccontata da lui diventava una specie di operazione dei servizi segreti, assumendo spesso dei risvolti inquietanti. Probabilmente la sua mente aveva staccato il pass per un itinerario fuori dal comune. Una peculiarità che spero aver ereditato da lui. Ma nella mente dell'uomo senza tv si era inceppato qualcosa. La tecnologia sa essere davvero bastarda. E quando i pezzi non stanno più insieme, è difficile sostituirli. Il libretto delle istruzioni ti porta fuori strada, lo fa di proposito. L'uomo senza tv sarebbe stato d'accordo con me. Probabilmente si è preso una lunga vacanza per ristabilire l'ordine di quei pezzi. Nel frattempo, mi piace pensare che proprio in questo momento, l'uomo senza tv si aggiri in un infinito centro commerciale alla ricerca di una splendida tv di ultima generazione. E che dopo aver spaventato il commesso con discorsi di difficile interpretazione, scelga una tv che lo soddisfi e torni con il cofanetto della trilogia di Kill Bill in blu-ray. Il terzo capitolo, lo vedremo insieme.

A mio zio.

(2011)

26/04/22

Sento il bisogno di


Gente che non si parla, gente che non si guarda negli occhi. Pezzi di terra si staccano dal suolo e non rimani che tu.

Le ferite, le malattie e la morte dell'essere chiamato uomo che non riesce più a distinguersi dall'animale. Inconsapevolmente, non resti che tu.

La ruota che gira, il bene che torna indietro sotto forma di male. Quel vizio straziante di viverla banale. E mi torna in mente che non rimani che tu.

Parole non dette, pensieri sussurrati e gesti sprecati. Quella voce che strilla dentro e tira fuori il peggio. Ma io mi sento meglio perché non resti che tu.

Balle, palle e facce quadrate che ti squadrano per renderti più debole di ciò che sei. Ma se non la finite mi va bene lo stesso, perché non rimani che tu.

Sentimenti annacquati, emozioni a metà che fanno il pieno di povertà. Ansia da prestazione, aria di contestazione.
Vieni come una camomilla nella mia pancia e mi ricordi che rimani tu.

25/04/22

La vita allo specchio

Erano passati anni dall'ultima volta che si era osservata allo specchio.  Certo gli era capitato più volte di specchiarsi, quasi ogni giorno, in realtà. Eppure non si era mai soffermata davvero su quella figura tanto familiare quanto sconosciuta. Nel frattempo il mondo aveva preso una piega inaspettata, così come la sua pelle, piegata e consumata dal verbo amare. Le stagioni procedevano spedite verso l'ignoto, gli ideali sotterrati rimanevano sotto terra, mentre il profumo dell'alba tramontava definitivamente. E mentre il trucco faceva il suo dovere, lei si chiedeva se avesse il diritto di essere felice. Una scomoda domanda che precedeva una scontata risposta; al diavolo. Avrebbe potuto chiedere proprio a lui, alla creatura demoniaca che possedeva i suoi sogni e li tramutava in assurdi incubi. Oppure, semplicemente, avrebbe potuto chiedere alla figura allo specchio, e attendere paziente di avere finalmente l'agognata risposta. Ma se avesse risposto o meno, se fosse riuscita a mettere insieme i pezzi e ad aggiustare ciò che si era rotto, avrebbe dovuto comunque fare i conti con la sua vita allo specchio. La donna, essenzialmente, una volta compresa e afferrata la propria natura, avrebbe dovuto dare un senso al suo essere lì in quell'istante. Al perché il suo viso era fatto in quel modo, e i suoi capelli più fradici di prima. Avrebbe dovuto allungare la mano verso il vetro e lasciarla andare oltre, cercando poi di dare una spiegazione ad ogni possibile scenario; universi e specchi paralleli, salite sconnesse e ripide discese ad ingannare l'anima. Che si stringeva e poi si allargava ad inseguire la vita.