20/12/19

Una notte a Berlino


C'era un'atmosfera da ultima volta mentre la luna accendeva gli animi dei berlinesi, e le stelle, disposte in modo confuso come spettatori di un concerto punk, ardevano di vita e si spingevano l'una contro l'altra, rabbiose, furiose; il cielo era il loro sconfinato mondo nel quale avevano trovato un giusto padre. Severo, forse, ma sempre attento ai loro bisogni. Però, quella notte non era la solita notte. E le stelle, così come la luna, sentivano giungere un profondo senso di inquietudine che neanche il padre più sensibile avrebbe potuto alleviare.

Stavano camminando intorno ad Alexanderplatz mentre divagavano su ogni possibile argomento proposto dalle loro teste, con una certa onestà ma anche con la voglia di avvicinarsi a vicenda e ritrovare quei necessari meccanismi di coppia, perduti in qualche luogo oscuro.
- Ma tu hai capito dove siamo? - Miriam si era guardata intorno e non aveva visto nulla di familiare.
- Fammi pensare... - Le aveva risposto, mentre prendeva tempo per cercare di orientarsi.
Francesco se lo ricordava, quel punto. Una grande via che avevano percorso qualche ora prima, forse. Ma ora, con la notte che avanzava, aveva perso gran parte dei riferimenti che aveva collocato nella sua mente frastornata, seppur giovane.
- Non dovrebbe mancare molto, credo. - E lo credeva davvero, ma nel frattempo sperava di avere la classica botta di culo che ti salva in momenti simili.
Se non avessero trovato in fretta la fermata giusta, avrebbero rischiato di arrivare tardi e, come da regola, sarebbero stati cancellati dalla lista.
Il freddo iniziava a far male, così come i ricordi di un tempo vivo e leggero che ora sembrava lontano anni luce. I loro cuori iniziavano ad indurirsi. La loro mente perdeva lucidità.
Avevano girato l'angolo e avevano riconosciuto la fermata. Dopo qualche minuto di attesa, in cui i due ragazzi si erano scrutati a vicenda in cerca di uno sguardo conosciuto, di un viso caldo che stemperasse il clima di una notte berlinese che stava per esplodere, la navetta era finalmente arrivata.

A bordo, c'era un leggero brusio provocato da altre due coppie. Una era seduta, mentre l'altra era in piedi e si reggeva con forza alle maniglie che pendevano dall'alto. Il conducente doveva avere una gran fretta, vista la velocità a cui andava.
I due ragazzi si erano guardati a vicenda, prima di decidere se sedersi o rimanere in piedi. C'era un fatto particolarmente strano, e forse preoccupante, che li aveva messi in allarme.
- Li vedi anche tu? - Aveva esordito Miriam.
- Si. - Le aveva risposto Francesco. E continuava a guardare Miriam con quel punto interrogativo immaginario che spuntava sulle teste di entrambi.
Le altre due coppie indossavano una maschera che imprigionava i loro volti. Maschio e femmina si distinguevano per il genere di maschera scelto; c'era una gatta accompagnata da un qualche genere di uccello, e un essere con il naso a punta che teneva per mano una ragazza con un mucchio di piume al posto dei capelli. I loro occhi erano nascosti, così come le loro emozioni. Francesco e Miriam, a confronto, erano nudi. Avevano iniziato a sentirsi a disagio ed erano andati a sedersi in fondo, distanti dalle maschere.
- Cosa facciamo? - Aveva chiesto Miriam, visibilmente nervosa.
- Tranquilla, - Le aveva risposto Francesco, che cercava di rilassare i nervi della sua ragazza mentre provava a fare lo stesso con i propri. - Magari ce la daranno una volta arrivati lì. -
- Si, può darsi. Ma perché loro ce l'hanno già? -
- Non lo so. Magari era un'opzione. Voglio dire, forse si poteva scegliere se andare già in maschera oppure farsela consegnare sul posto. -
Magari era come diceva lui, oppure no. Ad ogni modo, forse, non avrebbero dovuto scoprirlo perché c'erano degli animi che si stavano scaldando. La coppia che era in piedi aveva iniziato a discutere. La gatta gesticolava. L'uccello stava per perdere l'equilibrio a causa di una brusca frenata. Poi, nel silenzio totale, le due maschere si erano girate verso Francesco e Miriam e si erano scambiati un ultimo sguardo prima di procedere verso di loro. Erano giunti davanti ai ragazzi e si erano tolti le maschere, e avevano pronunciato qualche parola in tedesco che i due non erano riusciti a decifrare.
- Dicono che ci hanno ripensato. - Chi era stato a parlare con quell'accento straniero?
- Che non sono sicuri del loro amore e che non se la sentono di rischiare. - Aveva proseguito il conducente.
La navetta si era fermata. Le porte si erano aperte. La coppia che era in piedi aveva lasciato le maschere a Francesco e a Miriam. Poi era scesa.
Francesco aveva guardato Miriam. Un'altra botta di culo.
Avevano indossato le maschere e ora cercavano di rilassarsi, mentre la navetta tornava nel traffico di Berlino.

La notte stava per prendere totale possesso del loro mondo. Francesco si sentiva pieno di dolori, le ossa in movimento perenne e i muscoli tirati. Miriam aveva accavallato le gambe nel tentativo di porsi ad un livello superiore, la metà della coppia che era più brava a superare qualsiasi evento. Qualsiasi tormento.
Il freddo era penetrato all'interno di quella navetta che ora sembrava condurli all'Inferno. Il tipo alla guida aveva annunciato poco tempo prima che, purtroppo, il riscaldamento era fuori uso. Solo l'arrivo di altre coppie in maschera aveva fatto salire leggermente la temperatura percepita.
I due ragazzi, senza saperlo, avevano iniziato entrambi a pensare alla loro storia. Cosa li aveva condotti lì? Per quale motivo, ora, erano in quella città insieme ad altre coppie mezze distrutte? Cosa si aspettavano da Engel e dalle sue cure?

Engel si trovava nei sotterranei di un palazzo abbandonato nella periferia di Berlino. Non saprei dirvi come Francesco e Miriam fossero venuti a conoscenza di Engel e dei suoi metodi. Amici comuni, forse. Ad ogni modo, avrebbero scoperto più avanti in cosa consistevano e, forse, a saperlo prima, avrebbero scelto una via più classica e meno invasiva per tentare di risolvere i loro problemi; uno psicologo, magari. Una vacanza, se avessero vinto abbastanza soldi da andare lontano. Distanti da ogni forma di vita conosciuta, alla scoperta della loro stessa natura. Vibrante, originale, sognatrice, che era stata consumata quasi del tutto da quel ridicolo gruppo di individui, definito società moderna.

La navetta era entrata nel palazzo e aveva percorso una discesa che conduceva al più totale buio. Nessuno poteva vedere qualcosa in quelle condizioni. Nessuno che fosse umano.
Il conducente aveva fermato il veicolo, aveva aperto le porte anteriori ed era sceso, da solo. La luce era tornata a illuminare l'ambiente e aveva rilevato una sconvolgente verità. Le piccole mani di Miriam le coprivano la bocca per non farla gridare fino a morire. La bocca di Francesco era spalancata, rimasta bloccata come se si fosse paralizzata alla vista di quella cosa. Gli aveva ricordato una creatura che aveva visto in un film horror qualche giorno prima; una specie di diavolo con un cappello marrone e un lungo cappotto che gli arrivava fino agli stivali. Ma ora quella cosa era lì davanti ai suoi occhi, viva, crudele, pronta a svolgere i suoi doveri. Se ne stava lì fisso a guardare le maschere, inespressive solo in apparenza. Poi, dopo averli scrutati abbastanza a lungo da farli sentire in preda al panico, era tornato al posto di guida e aveva aperto anche le altre due porte. Era un chiaro invito a scendere. E lo avevano fatto tutti con rapidità, mentre la creatura sorrideva, seduta, passandosi la lingua intorno alle labbra nere.

Erano stati scortati da un normalissimo uomo ben vestito, fino ad una grande sala con decine di poltrone, disposte una di fronte all'altra. Le poltrone formavano un cerchio. Al centro di esso, c'era Engel; una creatura che ricordava una donna ma che era molto lontana dall'essere umana.
Credo di non potervela descrivere con precisione. La sua immagine era sfocata, imprendibile, affascinante per quanto celasse dentro di lei una natura sconosciuta e così distante dal nostro mondo. Francesco e Miriam si erano seduti, come tutti gli altri, e ora si guardavano negli occhi. Accanto a loro, sul bracciolo destro della poltrona, c'era una grande siringa con sopra un'etichetta con scritto "Fidelio". Si sarebbero dovuti sparare quella roba nelle vene e avrebbero così dominato la coppia, le loro ansie, le loro paure. Si sarebbero levati di dosso quelle maschere, mostrando finalmente le loro autentiche personalità. Senza filtri né ostacoli.

Alexanderplatz era illuminata da una notte insolita. La luna concedeva alle stelle di giocare alla guerra. Il mondo regrediva. Il sangue colava. L'amore trionfava.

20/11/19

Amore artigianale


La vista del sangue gli procurava una certa angoscia, per così dire. In quel momento, però, era più che altro una scocciatura. Era davanti allo specchio, suo nemico giurato da tempo, intento a controllare la bontà della sua rasatura. C’erano delle parti da sistemare, aveva notato, ma quello che più gli premeva, in realtà, era fermare il sangue che si intravedeva in ben cinque punti distinti: due erano fra il naso e il labbro superiore, gli altri tre appena sotto al mento. Non davano alcun dolore, quasi non si sentivano per quanto erano piccoli. Il fastidio, più che altro, era l’idea di doverli tamponare con un cotton fioc e magari anche dell’acqua ossigenata, nel caso il sangue non si fosse fermato al primo tentativo. E dato che quei minuscoli tagli non ne volevano sapere di dargli tregua, Andrea aveva bagnato per bene i cotton fioc e li aveva premuti contro le ferite, che già dopo qualche secondo stavano per diventare totalmente invisibili all’occhio umano.
Andrea era giovane. Sui 25 o poco più. In quel periodo, se ricordo bene, aveva avuto una pesante perdita d’amore, di quelle per cui si finisce mai di soffrire. Roba che ti porti avanti finché campi, di sicuro. Lei, Miriam, era stata al suo fianco per circa 6 anni. Si erano lasciati più di una volta ma si erano sempre ritrovati, davanti ad una pizza o sotto le coperte quando fuori pioveva a dirotto. Poi, dopo l’ennesimo punto morto, era giunta la rottura definitiva. Lui ci sperava, in realtà, che quella rottura potesse diventare nuovamente una passione ritrovata, che li avrebbe condotti chissà dove ma comunque da qualche parte, insieme. E magari anche lei, lo sperava. Ma, a conti fatti, fra i due si erano interrotti i contatti. Spezzati, bloccati. Forse per sempre, come pensava Andrea. Un’ipotesi plausibile che lo aveva fatto entrare in una pericolosa spirale di sofferenza e di incubi.
Erano circa le 22. Si era dato un’ultima occhiata allo specchio e aveva deciso che poteva andare. Era passabile. Aveva deciso, seppur stanco dalla giornata di lavoro, che quella sera non gli andava per nulla di buttarsi a letto e cercare qualcosa da vedere in tv. Sapeva che avrebbe iniziato a cambiare canale ogni minuto senza trovare qualcosa che stimolasse davvero il suo interesse. Aveva pensato di fare una chiamata a suo fratello ma poi aveva subito rinunciato, dando per scontato che avesse avuto di meglio da fare che uscire con lui. Si era messo qualcosa addosso, senza soffermarsi troppo su come gli stava quel giacchetto nero su quegli anonimi jeans come n’era pieno il mondo. Era uscito senza avere una meta, come spesso gli capitava in quei giorni, con la voglia di ritrovarsi con l’animo leggero, in pace, senza dover assecondare le immagini sparate dalla sua testa, piene di ricordi ma di una sola voce che lo faceva affondare nel marciapiede mentre camminava. Ovunque si fosse ritrovato dopo un’ora o più, Andrea sperava di volare fra le braccia di una donna, passare la notte da protagonista, con lei, levarsi di dosso il male e smetterla di vivere di riflesso.

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Si chiamava Lucia, ma in pochi la chiamavano così. Le conoscenze di vecchia data, forse, che non sapevano che quella strana bambina era ormai cresciuta e aveva deciso che Lucy era un nome meno banale e più affascinante. Proprio come lei, oggi, che aveva circa 30 anni e possedeva un piccolo pub a Trastevere, che aveva chiamato “Lucy”, non lontano da San Cosimato. Non era stata casuale la scelta del posto; Anna, la sua povera madre che era morta di cancro qualche anno prima, aveva un banco di frutta proprio in quella piazza. Del padre, che io sappia, non c’era mai stata l’ombra. Qualcuno, però, diceva di averla vista una mattina mentre passava per la piazza accompagnata da un uomo. Aveva il suo zainetto in spalla, sorrideva neanche su richiesta come sempre, ma in quell’occasione non era certo la mano della madre che stringeva. Ma quello era rimasto un caso. Perché nessuno, in realtà, ha mai saputo qualcosa di concreto sulla figura del padre. E delle tante voci che giravano in merito, io, come altri, ho ritenuto sempre che ce ne fosse una, più di tutte, che nella sua spropositata assurdità poteva avere un fondo di verità. Da piccola, si credeva che Lucia potesse essere imparentata con qualche creatura demoniaca. Si era giunti addirittura a ritenerla la figlia del Diavolo solamente perché non era incline a sorridere al prossimo. Certamente un motivo piuttosto ridicolo e triste. Ciò che invece aveva fatto pensare anche a me che la piccola Lucia potesse essere qualcosa di insolito, era quell’espressione che avevo visto nei suoi occhi, soprattutto nel periodo in cui era diventata Lucy. Mi aveva ricordato, per un attimo, Emmanuelle Seigner seduta a letto davanti a Johnny Depp ne La Nona Porta di Polansky; due occhi impossibili da decifrare, appartenenti ad un altro mondo, che si immergevano totalmente nei tuoi nel momento in cui entravano in contatto. Rischiavi di rimanere fermo per una quantità di tempo immensa finché lei non avesse sbattuto le palpebre, ricordandoti di essere fatto di carne e di ossa.

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Stretto nel suo giacchetto, con il cappuccio che lo riparava dalla leggera pioggia e dal mondo invadente, Andrea camminava insicuro per le vie di Trastevere, non seguendo alcun percorso nella sua mente. Aveva preso il cellulare per controllare l’ora. Erano le 22.35. Stava pensando che si sarebbe potuto fermare a bere qualcosa al prossimo locale che lo avesse ispirato di più. Non faceva particolarmente freddo ma ci stava decisamente bene qualcosa di forte, giusto per tenere i pensieri al caldo in vista dell’idea che gli avrebbe cambiato la vita. Ma forse, in realtà, Andrea non sapeva nemmeno cosa stesse cercando; se un nuovo lavoro, un’altra donna, una più onesta consapevolezza del proprio essere, oppure, magari, una semplice cornice per dare risalto alla sua anima e riaccenderne la passione.
Si era fermato davanti ad una vetrina che rivelava parzialmente l’interno di un piccolo pub. Era invitante, secondo lui, e le poche persone sedute ai tavoli davano l’impressione di godersi davvero ciò che stavano bevendo. Dietro al bancone c’era un omone, forse un po’ goffo ma dall’aria simpatica, intento a servire l’unico cliente che sedeva su uno degli sgabelli. Stranamente, però, non aveva ancora visto qualcuno che serviva ai tavoli. Magari era in pausa.

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Erano circa le 22.30. Lucy, ferma davanti allo specchio della sua camera, si osservava attentamente alla ricerca di un qualche difetto che la facesse sembrare più umana di quanto sembrava. Aveva quell’espressione. Quello sguardo che andava al di là della nostra comprensione e del nostro modo di vedere le cose. Lo specchio, in silenzio e immobile di fronte a lei, ne restituiva un’immagine solo parziale. Non riusciva, pur sforzandosi, a mostrare Lucy nella sua totalità e a rivelare alla stanza tutti i segreti della sua vera natura.
Aveva indossato un impermeabile nero ed era scesa giù nel locale. Chiunque si sarebbe voltato a guardarla ma non la clientela del suo pub, che evidentemente era abituale. Aveva fatto un cenno ad Ulisse, il suo fidato barman e tuttofare, ed era uscita all’esterno. Si era girata a destra, poi a sinistra, e aveva visto quel ragazzo davanti alla vetrina del suo pub. Lucy aveva da fare, cose da sbrigare in fretta che le avrebbero portato via una mezz’ora al massimo, ma in quel momento le sembrava più giusto volgere le sue attenzioni a quell’anima che le aveva dato l’idea di essere completamente in pena.
- Mi sono sempre chiesta perché indossate il cappuccio anche quando non piove. -
Il ragazzo, preso alla sprovvista, si era voltato verso di lei e poi non aveva più smesso di guardare i suoi occhi, finché lei non aveva parlato di nuovo.
- Ha smesso, eppure tu, come altri, indossi quel cappuccio che ti nasconde il volto. Non starai mica pensando di rapinare il mio pub, vero? - Gli aveva chiesto, sorridendo. - Perché non ci troverai molto, di martedì. -
Il ragazzo aveva alzato gli occhi al cielo, non aveva sentito la pioggia sulla faccia e si era levato il cappuccio. Poi era tornato a fissare la donna che gli stava davanti. Gli sembrava di averla già vista da qualche parte ma lui, in quel posto, non ci era mai stato. E a Trastevere non ci capitava spesso.
- In realtà ha smesso da poco. - Le aveva risposto. - E stavo pensando di bermi qualcosa. -
Era tornato a guardare all’interno del locale. - Il tuo pub sembra davvero un bel posto. -
- Lo è. - Gli aveva detto Lucy. - Entra, ti farò prepare qualcosa di speciale. Offro io. -

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Una volta entrato, Andrea aveva subito riconosciuto il pezzo. Era “Seventeen” dei Ladytron. La situazione che si era creata, seppur piacevole, era abbastanza particolare per lui che non era certo abituato a ricevere drink in offerta, tantomeno da donne affascinanti come lo era lei. E il fatto di trovarsi in un posto gradevole con della musica che apprezzava, gli dava più sicurezza. In qualche modo, aveva con sé un po’ del suo mondo.
Avevano preso il tavolino più distante dal bancone. Si erano presentati, ma, a parte i nomi, non si erano raccontati molto a vicenda. Lei lo aveva messo a suo agio con qualche battuta e poi aveva chiamato il tipo dietro al bancone. Era grosso, ancora più di quello che sembrava a vederlo da fuori. Lucy aveva ordinato un’acqua tonica con limone, per lei (gli aveva detto di aver bevuto fin troppo per quella sera), e un “Craft Love” per Andrea.
- Dimmi almeno con cosa è fatto, allora. - Le aveva detto lui. Curioso ma anche un po’ preoccupato del fatto di non sapere cosa avrebbe mandato giù. Gli piaceva bere, ogni tanto. Reggeva un po’ tutto. Ma cose del tipo “bere a sorpresa” non gli andavano molto a genio.
- Fidati, è buono. Non devi sapere altro. Poi voglio un giudizio sincero, però. -
- D’accordo. - Le aveva risposto lui, che sapeva di non avere altra scelta. D’altronde, che motivo avrebbe avuto per non accettare un drink da una come lei? E comunque, una volta, aveva assaggiato anche l’assenzio. Poteva essere più forte dell’assenzio?

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Quello che poco prima poteva essere considerato un docile agnello che sorseggiava il suo drink, ora era diventato un lupo famelico che divorava il corpo della sua donna per una notte. Molto probabilmente, Andrea e Lucy avevano ben poco in comune. Ma ora, al di là di qualsiasi previsione, erano nello stesso letto a scambiarsi il loro sesso a vicenda.
La camera di Lucy, in fondo al corridoio sopra le scale del pub, era una camera come qualsiasi camera di un discreto hotel, arredata con lo stretto necessario. L’unico dettaglio che la rendeva un minimo personalizzata, era quel quadro orizzontale posto alle spalle del letto, sopra la testiera. Ritraeva Iggy Pop durante un concerto, in una delle sue pose più caratteristiche, rigorosamente a petto nudo. Sia alla destra che alla sinistra del quadro, c’erano due piccole casse da cui si sentiva della musica; prima “Cry for Love” e ora “Home”. Nella parte opposta, c’era lo specchio verticale di Lucy. Se io, oppure chiunque altro, fossi entrato in quel momento nella stanza, quasi certamente mi sarei dovuto levare ogni cosa di dosso a causa dell’elevata temperatura. Quanti gradi ci fossero non ne ho idea, ma vi dico che il vetro della finestra, a un certo punto, si era completamente appannato. Non c’era il riscaldamento, e la piccola stufa ai piedi del letto era spenta. I corpi dei due amanti si erano scaldati così tanto quasi da far andare in fiamme l’intero edificio. Andrea non poteva vedere ciò che stava accadendo a Lucy, perché in quel momento la sua faccia era attaccata alla sua vagina, ma se avesse potuto vedere, forse, si sarebbe fermato almeno per un secondo e avrebbe cercato di razionalizzare ciò che i suoi occhi gli avessero proposto.
A Lucy erano spuntate un paio di corna rosse, che finivano con una punta sottilissima. Una delle due, la destra, aveva una particolarità; una specie di campanellino era posto nella parte più alta. In pratica, aveva una sorta di piercing che suonava ad ogni suo movimento. Andrea non se n’era accorto perché quello che aveva in bocca gli aveva fatto perdere completamente la cognizione del tempo e dello spazio. Non si era reso conto, almeno fino a quel momento, che quella roba che stava succhiando assomigliava tantissimo al “Craft Love”, quel drink che aveva sorseggiato come un agnellino poco tempo prima. E non si era reso conto neanche del fatto che Iggy Pop aveva iniziato a muoversi sul palco, sulle note di “Cold Metal”. Andrea e Lucy, senza dubbio, si trovavano nel nostro stesso universo. Ma posso garantirvi che, se io o chiunque fra di voi avesse varcato la soglia di quella stanza, in quel preciso momento, si sarebbe ritrovato davanti agli occhi una situazione inconcepibile per il modo in cui siamo stati abituati a vedere questo nostro mondo.

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Andrea era steso a letto, su un fianco, consumato da quel sesso demoniaco. Aveva gli occhi mezzi chiusi ma riusciva ad intravedere Lucy appollaiata al soffitto, in qualche modo, mentre si masturbava e faceva cadere il suo amore artigianale verso il pavimento, dove c’era ad attenderlo un secchio di medie dimensioni. Andrea era riuscito a vedere tutto, più o meno. Aveva goduto, prima. Aveva sopportato, poi. Ma ora, in preda ad un’assoluta decadenza fisica e mentale, si era lasciato andare.

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Andrea era steso a letto, a pancia sopra. Su di lui, intento a lavorare con un coltello, c’era Ulisse, il barman tuttofare del “Lucy”.
- Non è una questione personale, amico, ma devo tirare fuori il tuo cuore dal petto per aggiungere una spruzzatina di sangue a quella roba. - Gli aveva detto Ulisse, indicando il secchio.
- Per completare il drink, capisci? -
Andrea, ancora in sé, si era girato e l’aveva visto. Poi aveva dato un’occhiata verso l’alto. Lucy non c’era più. Si era girato nuovamente verso l’omone che, stranamente, aveva conservato quell’aria simpatica da autentico barman che sa prendersi cura dei propri clienti. Le cure che ora, invece, stava riservando ad Andrea, erano completamente distorte e maniacali. Si divertiva, ci girava intorno a quella meta rossa chiusa in quel corpo che ormai, in ogni caso, era quasi finito. Giusto il tempo di fargli ripensare a quando, poche ore prima, era davanti allo specchio del suo bagno e si preoccupava di fermare il sangue che usciva da quei minuscoli tagli; un momento di assoluto piacere, se paragonato alla sua condizione attuale.

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Erano andate in quel pub come ormai facevano spesso dopo che Miriam le aveva chiesto un po’ di supporto. Aveva bisogno di avere gente intorno. Era uno di quei momenti. Uno dei peggiori.
Davanti ad un “Craft Love”,  la specialità del locale, Erica cercava di farle passare il male. O almeno di attenuarlo.
- Quindi, fammi capire bene… - Le aveva detto.
- Cosa senti, ora? -
Miriam non le aveva risposto. Aveva preso il suo bicchiere e aveva quasi finito il suo drink. Poi aveva dato un’occhiata al suo cellulare.
- È quasi mezzanotte. È tardi. - Le aveva detto.
Ma Erica non avrebbe mollato la presa. Se Miriam voleva il suo aiuto, lei ci avrebbe provato. Avrebbe cercato di trovare una soluzione, una via d’uscita più giusta ma comunque sopportabile. Però lei, da parte sua, avrebbe dovuto aprirsi.
- Lo ami ancora, vero? - Aveva insistito Erica.
Miriam aveva ripreso il bicchiere e aveva finito tutto il suo “Craft Love”. Poi aveva sospirato così intensamente da far muovere le pareti del pub.
- Si, cazzo. - Le aveva risposto. - Lo amo perdutamente. -

01/08/19

Il Posto



C'è un posto, nella tua anima, dove puoi andare ogni volta che ne senti il bisogno.
Ma non è facile arrivarci, giungere a quel livello di calma che consente di aprire la serratura e poi richiuderla, e decidere spontaneamente di tornare a casa.

Il brutto di un rapporto che dura negli anni è che quando si arriva a quel punto, quello che siamo soliti definire morto, non si riesce a farsene una ragione e spesso non si riesce neanche a guardarsi negli occhi dell'altro per più di 5 secondi. Che è il minimo indispensabile per riuscire a capirci qualcosa.
E se non si riesce a farlo, il rischio è quello di ritrovarsi accanto una persona che si ama, che si rispetta, che si vuole un dannato bene ma che purtroppo, naturalmente, non si sa più chi sia. Non la conosci più perché hai smesso di viverla da tempo, magari, senza rendertene conto oppure senza guardare in faccia la tua realtà, davanti ad uno specchio che lacrima la tua sofferenza da mattina a sera.
Che sia difficile, impossibile, anzi, improponibile, arriva il momento in cui prendere per mano la tua mano e andare a fare due passi in quel posto che ti hanno fatto conoscere da bambino, quando i tuoi cercavano di costruire il tuo perché, e tutto il resto era solo il mondo che ruggiva. E tu non eri pronto per affrontarlo. Ma quel posto è rimasto lì e rimarrà per sempre lì, in una sconfinata pianura di oggetti morti, falsi miti e un mucchio di buoni propositi sotterrati a rigore di logica, quando c'era da far spazio alla banalità che ti pagava da vivere. Che ti paga da morire.

C'è un posto, nella tua anima, dove puoi andare ogni volta che ne senti il bisogno.
Ma non è facile arrivarci, giungere a quel livello di calma che consente di aprire la serratura e poi richiuderla, e decidere spontaneamente di tornare a casa. Da te.

24/07/19

Il tramonto


Dentro non si respirava più ed era uscito a prendere aria. La strada principale che incontrava ogni giorno, appena girato l'angolo di quella che a fatica poteva considerarsi una via, sembrava un mucchio di letame caldo. Ne respirava l'anima, e la nausea gli prendeva così forte che a volte perdeva lucidità e voglia di stare al mondo.
Cosa stava facendo? Dove stava andando? Si era fermato per qualche istante a decidere se proseguire in quel fetore o se prendere la strada di destra, da dove proveniva un rumore assordante. Pioveva a dirotto e si era reso conto che in quella direzione, probabilmente, l'acqua cadeva ancora più forte. Infatti non c'era anima viva, se si escludono un gatto, insetti di vario genere e la scarsa vegetazione, ormai quasi del tutto assente.
Alla fine, seppur con qualche dubbio a riguardo, aveva scelto la strada della pioggia battente, quella più lurida e umida. Il gatto stava mangiando da una ciotola in metallo e ora si era girato verso l'uomo, l'intruso, che si era permesso di disturbarlo in un momento così privato. Lo aveva scrutato con diffidenza ma anche con un pizzico di curiosità e poi si era rimesso col muso nella ciotola quando l'uomo col cappuccio lo aveva sorpassato.
L'uomo, spiazzato dal proprio vagabondare senza una meta apparente, aveva alzato gli occhi e lo aveva visto; il tramonto verde che spezzava in due la città, l'attrazione che un tempo aveva reso famoso quel luogo che oggi era ormai dimenticato da qualsiasi Dio. Non c'era più interesse verso quella colata di verde fluorescente che cadeva dall'alto e che si posava sulle cose che valeva la pena ricordare. Lui credeva di non aver fatto molto negli anni per cui valeva la pena esseri ricordati, e faceva molta attenzione a non essere toccato da quella melma.
Aveva camminato per due o tre isolati e poi la sua testa aveva ricominciato a girare ad una velocità simile a una di quelle supercar di quel programma televisivo della vecchia era che a volte vedeva nei monitor pubblici.
Era il momento di tornare a casa, passare la serata e poi spegnersi.

Il Diavolo


Le avevano detto che assomigliava ad un barbone. Se ne stava accovacciato, truccato nella notte in un vicolo cieco dimenticato dal mondo, ascoltando Elton John.
Le avevano detto che non voleva soldi ma solamente una stretta di mano. Voleva fare un patto. E se tu eri in grado di rispettarlo, lui ti rendeva felice.
Miriam aveva appena girato l’angolo e l’aveva intravisto, in fondo alla via, fra una fila di cassonetti e quello che sembrava essere una specie di giradischi a torre.
La ragazza si era avvicinata e aveva cercato i suoi occhi. Erano rossi come il sangue.
-Lo facciamo, questo patto?- Le aveva chiesto il Diavolo.
-Non so di cosa si tratta e comunque ho come l’impressione che questa cosa sia una bella cazzata.- Miriam stava per andarsene. -Ma infatti cosa sono venuta a fare... Me ne vado.-
-Aspetta...- L’aveva fermata lui con il solo gesto della mano. -Stasera mi sento solo. Rimani con me. Ti racconterò una storia.-
-E cosa ci guadagno?-
-Mmm... sei giovane ma non perdi tempo.-
-Sono incazzata, Diavolo, e non sono proprio in vena di giochetti.-
-D’accordo. Non devi fare altro che ascoltare la mia storia e poi avrai quello per cui sei venuta. Quello per cui tutti vengono.-
“C’era una volta una giovane ragazza che faceva finta di sentirsi bella, rispettata dal mondo e dai suoi giudizi. Aveva un ragazzo che l’amava, diceva lui, con cui aveva perso la verginità. Poi lo aveva trovato a letto con un’altra e aveva giurato a lui e a se stessa che lo avrebbe ucciso. Poi, con un po’ di sana incoscienza, aveva deciso di rivolgersi al Diavolo per mettere le cose a posto. Lo aveva trovato, lo aveva ascoltato e poi...”
Il Diavolo si era alzato in piedi, aveva preso la mano di Miriam e l’aveva stretta nella sua.
“Poi gli aveva stretto la mano.”
-Che razza di scherzo è questo?- Miriam si era ripresa la sua mano, di scatto.
-Nessuno scherzo, Miriam. Soltanto la verità.
Che cosa sei venuta a fare qui, stasera?-
Miriam non sapeva cosa dire.
-Vuoi davvero che lui muoia?-
Miriam aveva annuito.
-Ok.-
Miriam stava andando a casa di quello che ormai poteva essere considerato il suo ex ragazzo a tutti gli effetti e, se il Diavolo non mentiva, un quasi morto. Ma lei, razionale com’era, ancora non ci credeva.
Nella testa di Miriam, però, c’era qualcosa che non andava. Era andata in quella casa, si ricordava, per verificare qualcosa ma ora non riusciva a focalizzare bene.
La porta era aperta, c’erano delle buste della spesa sul pavimento e si sentiva la voce del suo ex ragazzo. Era al telefono, in un’altra stanza. -Fratello, mi becchi in un brutto momento, sono appena rientrato a casa ma comunque ieri sera l’ho fatto. Sono andato dal Diavolo e gli ho chiesto di tornare indietro, prima di quella maledetta sera. Lui ha detto che si poteva fare, che mi stavo per lavare la coscienza e che Miriam non avrebbe sofferto.
“Tu non lo sai, amico,” Mi ha detto, mentre mi faceva l’occhiolino, “Ma ti sei appena salvato la vita”-.

16/07/19

La bestia


Lui se la guardava dalla testa ai piedi. E quando aveva finito di farlo, ricominciava, partendo sempre dalla testa, con quei capelli così sporchi e poco curati da non sembrare proprio i capelli di Miriam. La sua Miriam, che ora era lì, davanti a Luca, che cercava di pulirsi le labbra muovendo la lingua a circolo. Che cercava di darsi una spiegazione plausibile per quella situazione. Ma, onestamente, non gliene veniva in mente neanche una. Solo l'odore e il sapore di quel sangue che gocciolava da ogni punto del suo corpo, profondamente irriconoscibile.
- Perché non abbassi quel fucile e ne parliamo con calma. Sono io. Miriam. Non mi riconosci più? - Miriam aveva teso il braccio destro verso Luca. Si capiva dalla gestualità della sua mano che stava cercando di essere capita ma anche di capire lei stessa cosa diavolo era successo. E cosa stava succedendo in quel preciso momento.
- Non posso, Miriam. - Le aveva risposto Luca, con il fucile che continuava ad essere puntato su di lei.
-Non posso, lo sai. Hanno trovato il corpo nel giardino di casa tua. Era stata scavata una fossa, capisci? E ora ti vedo qui, ridotta così, come una specie di barbona che rovista nella spazzatura, con l'unica differenza che la spazzatura, in questo caso, è il corpo della tua vicina, cazzo. -
Luca, per un attimo, aveva allentato la tensione e la presa del fucile. Poi, dopo aver dato un'altra occhiata al corpo dilaniato, era tornato a concentrarsi su Miriam, stringendo l'arma con ritrovata convinzione.
- Ti supplico, Luca, ascoltami. E guarda. - Miriam gli aveva indicato il cielo. La luna, in particolare.
- Sto cercando di farti capire che succederà anche a te, come a tutti gli altri, che non sono mai stata l'unica. Magari è già successo anche a te e ancora non lo sai. Dico davvero, cazzo, credo siamo finiti in un dannato inferno. -
- Non ho intenzione di sentire altro, Miriam. - L'aveva fermata Luca. - Ho cercato, con tutto me stesso, ho sperato, Miriam, che ci fosse un'altra verità. Che la mia splendida ragazza con quel sorriso dolce non fosse quella...cosa, quella bestia di cui tutto il paese parla. Ma ora, devo solo trovare dentro me il coraggio di farlo. E tutto sarà finito. Non morirà più nessuno, Miriam. -

Luca, con le lacrime che gli scendevano dagli occhi stanchi e consumati dalla notte, aveva stretto il fucile ancora di più ed era finalmente pronto a fare fuoco, prima di essere preso da un forte dolore al petto, e poi da convulsioni che lo avevano costretto a lasciarsi cadere a terra. Il fucile era accanto alle sue gambe che non ce la facevano proprio a fermarsi, giravano e giravano come impazzite, e le sue mani stringevano il capo con una tale forza che le vene della fronte sembravano quasi esplodergli.
Miriam lo sapeva cosa stava per succedere ma non ci voleva credere. Se lo guardava mentre si dimenava a terra e non poteva non pensare che molto probabilmente era la stessa identica scena a cui aveva assistito la sua povera vicina. Solo che, ironia della sorte, nella posizione della sua vicina, ora, c'era lei, e al suo posto c'era Luca, il suo ragazzo. Che ora assomigliava più ad una bestia che ad un ragazzo.
Miriam si era avvicinata a Luca, si era chinata e aveva allungato la mano verso il suo corpo che stava per cambiare la propria natura, definitivamente. Allora Miriam aveva cambiato la direzione della mano e aveva preso il fucile da terra. Aveva indietreggiato e aveva puntato l'arma verso Luca. Verso la bestia. Che ora era in piedi, in qualche modo.

Lei se lo guardava dalla testa ai piedi. E quando aveva finito di farlo, ricominciava, partendo sempre dalla testa...che non aveva nulla a che vedere con la testa di Luca. Moro, coi lineamenti marcati e con degli occhi che l'avevano fulminata al loro primo incontro. Delizioso, era stato. Erano andati a passeggiare in spiaggia, poi si erano baciati di notte, sotto quella luna che non chiedeva nient'altro che un po' d'amore. Ora, di quella faccia, era rimasto ben poco se non quegli occhi che avevano ancora del potere, su di lei, ma che ora avevano comunque una canna puntata addosso.
La bestia era pronta. Aveva fame. Ma negli occhi di Miriam aveva riconosciuto il suo amore o forse un suo simile, o forse entrambe le cose, e si era fermata dopo un primo passo avanti. Luca, cioè quello che rimaneva di lui, si era voltato di scatto ed era corso via, verso il bosco.

Miriam aveva lasciato cadere il fucile e aveva assecondato la stanchezza delle sue gambe che avevano deciso di inginocchiarsi a terra.
- Non prendertela troppo, cara. Il mondo non è una cosa che puoi capire così, al volo. -
Miriam stava cercando di capire da dove venisse quella voce di donna che le aveva appena parlato. Si era resa conto, alla fine, che non c'era nessun altro a parte lei e la sua vicina di casa morta.
- Guardami, - Aveva richiamato la sua attenzione la vicina.
Miriam non riusciva a guardarla perché era stata lei a ridurla così, senza vita. E non era certo un bello spettacolo, soprattutto ora che le stava parlando.
- Non aver paura. Non provo rancore. Lo so che non è colpa tua ma è solo il frutto di quello che è stato, sulla terra. E sono contenta che non sarò qui ad assistere a questa nuova stagione che si rivelerà molto triste. -
Miriam se la guardava e non sapeva se credere alla sua mente. Ma poi aveva considerato la presenza di sé stessa, a questo mondo, di Luca e di tutti gli altri. E quindi, alla fine, era giunta alla conclusione che poteva anche starci, come cosa, parlare con la sua vicina di casa che lei stessa aveva fatto quasi a pezzi.
- Non so del perché di tutto questo, sarò sincera, e mi dispiace davvero di averti...insomma...- Miriam si era interrotta. Per quanto poteva essere ragionevole quella situazione, viste le circostanze, era pur sempre una situazione del cazzo.
- Te l'ho detto, Miriam. Non devi avere paura e non provare vergogna. Io lo so qual è il tuo problema, ora. Non sai chi sei, vero? -
Miriam si era sentita quasi sollevata. Non c'era nulla che andasse bene, ovviamente, ma almeno c'era qualcuno, anche se morto, che aveva capito come si sentisse in quel momento.
- Esatto, - Le aveva risposto. - Non sono sicura della mia stessa natura. Cioè, in pratica, non so se la mia condizione attuale sia quella in cui sono venuta al mondo. Oppure, magari, è quella che ti ha ridotta così, quella che ti ha staccato la carne a morsi. -
- Beh, di sicuro io ormai non posso aiutarti ma tu si. - Le aveva detto. - Che aspetti? Prendi quello che sei e cerca di vivere, finché un mondo esiste ancora. -
La luna, scomoda testimone di una storia destinata a ripetersi, brillava di rosso e di argento.
Miriam si era alzata e si era incamminata nel bosco. Lentamente. E poi veloce e affamata come una bestia.

10/07/19

Il fiume


Voglio raccontarvi la storia di Marta e Claudio. O meglio, una piccola parte di quella che sarebbe stata la loro emozionante storia fatta di un mucchio di amore. Quello più dolce che possa esserci a questo mondo.
Beh, la parte che voglio raccontarvi ha avuto inizio sulla riva del fiume del loro quartiere. Un quartiere rassicurante come la bocca aperta di un cane randagio davanti alla sua preda. E un fiume che...qui viene il bello; un fiume, state bene a sentire, che aveva un'anima, una vita, una voce e molto probabilmente anche un paio di orecchie per ascoltare i rimproveri, gli sfoghi, i segreti e gli insulti di tutta quella cara gente che ci andava a fare due chiacchiere come ultima spiaggia. Cioè, come ultima riva.
- E ora che si fa? - Aveva esordito Marta appena giunti al fiume.
- Non ne ho la più pallida idea, tesoro - Le aveva risposto Claudio, dopo essersi grattato la testa per qualche secondo, in attesa forse di una qualche ispirazione. Sembrava vero.
I due ragazzi volevano capire di cosa fosse davvero capace quel corso d'acqua che ai loro occhi sembrava solamente dell'acqua, appunto, che scorreva in mezzo ad un grazioso boschetto in cui crescevano alberi alti come i grattaceli della grande mela. Belli ma sproporzionati con il resto del panorama. Una cosa abbastanza inquietante.
- Sono davvero enormi eh? - Marta aveva indicato gli alberi con un cenno della testa.
- Dicono che li ha fatti spuntare un tizio. Questo si presenta davanti al fiume e dice che...si, insomma, che non ci sono abbastanza alberi e piante in giro. Che qui la vegetazione fa pena...ecc, ed ecco qui. - Le aveva risposto Claudio, indicandole quei due/tre arbusti alla loro destra. Facevano davvero paura.
- Cioè vuoi dire che è stato il fiume a farli crescere? -
- Non lo so. Ma è quello che ho sentito dire. Proviamo a chiedergli qualcosa. Lamentiamoci. Fingiamoci una coppia in crisi che ha bisogno di nuova vita. -
-Che poi sarebbe anche vero. -
- Io non direi che siamo in crisi. Abbiamo solo bisogno di nuovi stimoli. Nuove esperienze. -
- Si ma che cosa vuoi fare? Cosa vuoi dirgli? -
Claudio ci stava pensando ma in realtà, vi dico, stava facendo finta di pensarci. Claudio, in cuor suo, sperava che la sua confessione, se fosse stata fatta davanti a quel fiume, forse, avrebbe provocato qualcosa di molto diverso in Marta, se quella stessa confessione fosse stata fatta altrove. A casa loro, ad esempio. Magari in cucina, con i coltelli nelle vicinanze. E forse, dico forse, sperava che il fiume lo appoggiasse. Che mettesse una buona parola con la sua Marta.

Anna era seduta sopra a Claudio, mentre lui era steso e beveva birra dalla bottiglia. Il letto puzzava di molte cose. Avevano scopato alla grande, e ora erano in quella fase di compiacimento generico stimolato da una situazione sporca, infedele e priva di qualsiasi rimorso.
Anna se lo guardava impunita (anche se in realtà si era fatta sbattere più volte). Ne voleva ancora ma erano entrambi esausti. Non ce l'avrebbero fatta. Anna si era stesa accanto a lui e ora aveva cambiato espressione. Ora era più del tipo: "E ora, che si fa?"
Claudio un'idea ce l'aveva ma sospettava che non era poi così brillante, come pensata, e che comunque Anna l'avrebbe presa a ridere. Di questo ne era convinto, anche se non la conosceva da molto.
Si era girato, l'aveva guardata e si era fatto capire al volo, con quella sua espressione da OC che diceva tutto e niente. E devo dirvi che, in effetti, anche se era vero che si erano conosciuti solo da qualche giorno, l'alchimia fra i due era così forte che quella "nuova" poteva sembrare Marta e non Anna.
- Non starai mica pensando a quel fiume del cazzo, vero? Sai benissimo che non esiste...cioè esiste ma è un semplice fiume come è pieno il mondo. O pensi che dentro ci sia il genio della lampada che nuota con la Sirenetta? -
Claudio stava per risponderle ma si era bloccato. Stava pensando a quando da ragazzino guardava le cassette dei cartoni animati mentre i suoi vecchi scopavano nella stessa stanza.
- Ok, - Lo aveva preceduto Anna, - Sono storie diverse ma il concetto non cambia. Cosa vuoi andarci a fare davanti a quel fiume con Marta? Io una vaga idea ce l'avrei... -
- Ehi, ferma, ci vado per rompere, non per farci cose...-
- Ah, vuoi che il fiume che ti renda tutto più semplice, in qualche modo. E che magari Marta la prenda bene...ma non so davvero in che modo possa esserti d'aiuto dell'acqua che scorre. -

Credo che facessero più o meno 30 gradi e l'acqua scorreva fumante. A tratti, sembrava prendere fuoco.
- Allora? - Marta gli aveva dato una gomitata sul fianco. Poi se l'era guardato come per dire: "sei vivo? So che sei un uomo ma, per favore, non me lo ricordare ogni secondo".
- Senti, vorrei che tra noi le cose andassero meglio di come vanno ora ma non so se siamo fatti l'uno per l'altra. Insomma, a te piace la montagna, a me il mare. Tu bevi il vino, io la birra. Per non parlare delle famiglie da cui veniamo...la mia è un casino, lo sai, mentre la tua sembra uscita da un catalogo Ikea... -
- Claudio, - Marta ne aveva abbastanza e l'aveva interrotto. Si era messa davanti a lui. Spalle al fiume. Braccia incrociate. - Cosa stai cercando di dirmi? -
- Beh...vorrei che il fiume ci aiutasse a capire cosa possiamo fare. Cosa si può fare ora dopo quello che ho fatto. - Sembrava vero. Sembrava sincero.
- E cosa avresti fatto? - Marta aveva alzato le sopracciglia. Solo la sinistra, in realtà. Andava molto male.
Dopo il respiro più profondo che avesse mai fatto in vita sua, Claudio aveva confessato il suo sesso con Anna, che Marta conosceva molto bene.
- Ah, era questo che stavi cercando di dirmi. Cioè, in pratica, vuoi lavarti la coscienza qui, così. Beh, potrei dirti che mi hai uccisa, che non posso più vivere dopo questa notizia ma ti direi una cazzata, Claudio. Voglio essere sincera anche io con te, fino in fondo. Perché, dopo questa tua illuminante confessione, non vai a chiedere a Marco con chi ha passato la scorsa notte? -
- Non ti credo. -
- Beh, dovresti. E se proprio non ci riesci, fatti mostrare quel tatuaggio che ha lì sotto. Scommetto che li hai visti tutti, i tatuaggi di Marco, ma quello no. Quello non lo sapevi, che ce l'aveva. -
I due, ora, erano in silenzio. Anche Marta si era girata verso il fiume ed erano entrambi con le braccia incrociate.
- Allora? - Aveva ripreso Marta. - Ce la laviamo, questa coscienza? -
Claudio aveva stretto le spalle e l'aveva seguita mentre andava verso il fiume. Si erano completamente spogliati ed erano entrati in acqua. E dopo qualche secondo avevano iniziato a bruciare, a prendere fuoco. Erano usciti ustionati e, senza i vestiti addosso, avevano iniziato a camminare prendendo due strade diverse, sommersi dagli alberi giganti e da quel senso di colpa ingrato.

08/07/19

Vigilanti


Era tornato quasi strisciando dentro casa e si era messo a letto appena era entrato in camera. Aveva macchiato le lenzuola.
Di notte era umido ma quella notte, più delle altre, si finiva per bagnarsi anche solo al pensiero di quella condizione. Lui odiava sentirselo addosso. La pelle che si appiccicava a quella di lei quando si incrociavano nel cuore o nelle periferie di quel letto a due piazze. Che non era mai abbastanza grande per la loro immensità.
Lei era in bagno, a farsi bella. Non l’aveva sentito rientrare e ora che aveva aperto la porta e se l’era trovato li davanti, in un matrimonio di sangue e sudore, aveva spalancato la bocca e con l’aiuto della mano era riuscita a tenerselo dentro, l’urlo. Poi gli era saltata addosso e lo aveva preso a schiaffi come avrebbe fatto una madre col suo bambino, dopo avergliele promesse in caso si fosse comportato male.
“Che diavolo hai combinato, questa volta...”
Lui aveva scosso la testa. E già che riusciva ancora a muoverla era un passo avanti e lei mise la sua mano nei sui capelli e strinse. Un po’ a volergli del bene e un po’ del male.
Si era stesa accanto a lui e aveva passato la notte a ricucire le ferite aperte e a chiudergli la sua bocca con la propria, per non sentirlo disperare e contorcersi dal dolore.
Di mattina, l’umido era passato attraverso le pareti tanto da farle lacrimare. Il notiziario delle 9 dava la notizia che tutti speravano di avere. Il seviziatore di ragazzine era stato preso, cioè trovato nel suo nascondiglio del parco giochi e pestato a morte e spedito al suo creatore. Ma non era sola, la bestia. Aveva dei complici, uomini e anche donne che lo avevano aiutato nel suo delirio. Erano tutti morti. Strappati a questo mondo in crisi totale.
E lei aveva paura che prima o poi, a fare del bene, ci rimettesse anche lui. La sua anima perfetta che sistemava le cose e non chiedeva nulla in cambio.
E se quel giorno, poi, fosse giunto, lei lo avrebbe comunque rimesso in piedi, in qualche modo.