29/02/20

Semplice


Dimmi che è tutta una montatura. Che ti sei montata la testa e che non sopporti la panna come all’inizio.
Dimmi che c’è una via di fuga anche se io non la vedo. Dimmi che può funzionare anche se io non ti credo. Che hai la palla di vetro e sai quello che accadrà. A quanti anni avremo il primo figlio e quanto avrà lui quando inizierà a detestarci.
Dimmi che sei ancora lì al bagno a rimettere i tuoi bisogni. Seduta, con l’orgoglio ancora saldo in piedi. Che, se me lo concedi, sarebbe pure il mio turno.
Ma dimmi ancora una volta di quando eri sola a letto e ti stringevi nel cuscino. E poi, si, dimmi anche di quando abbiamo raggiunto la vetta, insieme, e di quanto la mano fosse stretta.
E allora, infine, trova le differenze con quella solitudine e dimmi, amore, che in ogni caso stai bene. Che, in fin dei conti, è tutto molto semplice.

24/02/20

7 anni circa


Quando cerchi di dimenticare quella parte che ti fa bruciare il cuore e la pancia, provi a farti tornare in testa il primo bacio. Ma l’ultimo, inevitabilmente, non si stacca dalla tua memoria e ti gira nella testa così a lungo che, alla fine, lo lasci andare senza giudicare. Il tempo che vivi non ti aiuta, e allora quella fretta di dimenticare diventa una storia con una trama che procede a tentativi. Come un filo infinito e delicato che cerca di venirne a capo. Di uscire, in qualche modo, dal complicato labirinto del tuo intestino.
Il destino: qualcuno crede sia la causa delle nostre sfortune e di tutti quei fatti che ci prendono alla sprovvista e poi ci fanno cadere. Se ti rialzi, sei fortunato. Se non lo fai, sei ancora più sfortunato di chi si è rialzato. Una banalità, forse. Un concetto che meriterebbe più spazio nei bar e nei luoghi sensibili. Per i più, pensieri inconcepibili.
Credo che una specie di strada segnata, ognuno di noi ce l’abbia. Ma credo anche che, se limitiamo il nostro cammino, di sicuro ne rimarrà una sola. L’alternativa a quella strada te la devi mettere in piedi tu. Con la tua passione, la tua spinta e la tua faccia dipinta, con la voglia di esistere e di resistere anche quando fuori piove, e il sole, divenuto un miraggio, non si mostra neanche di passaggio.
Continuano ad arrivarmi mail automatiche che mi ricordano che posso prenotare ristoranti con lo sconto. E mi tornano in faccia le incomprensioni, i messaggi privi di idee, le uscite sperate e poi detestate, il pesante clima di quei giorni che ti fa venire voglia di tornare leggero, come quando volavi nei tuoi sogni di bambino.
7 anni circa. E sentirli tutti.

19/02/20

Facce


Seduti sul muretto, Andrea e Luca dipingevano affreschi di vita di periferia. Onesti, pacati, un po’ disgustati da quei luoghi, i due amici si rivolgevano a vicenda chiamandosi “fra”. Fra una tirata e l’altra, naturale o elettronica a seconda della faccia, si discuteva del casino della sera prima, della fame che dipendeva dalla mattina, dell’ultima sega a scuola e della nuova tipa sotto le lenzuola. Andrea, esemplare sfrontato e attore mancato, era figlio di Anna e Gianni. Luca, figlio dei suoi anni, contava i suoi restanti giorni di vita come se fosse un vecchio in pensione. Non gli mancava nulla, a parte un paio di genitori degni di questo nome. Il suo cognome si vergognava a doverlo scrivere. E quando di vivere non ne voleva più sapere, era Andrea che chiamava. Lui, devoto alla causa, si metteva in pausa. Stoppava la sua vita e piombava su quella del suo “fra”. Un giro al parco, una tedesca con Marco, in sala a rivedere “Fargo”. E poi tutte quelle cose che non hanno senso ma che riempiono l’anima e tengono distanti la noia, il mal di pancia e il bianco sbagliato.
Appoggiati al muretto, Andrea e Luca vedevano passare le facce di quei momenti. Spettri, lupi, viandanti che pian piano affondavano nei marciapiedi mobili coi loro tormenti. Corpi spogli senza documenti a farsi largo nella melma. A farsi. A fasi alterne.
E in mezzo a loro, a volte, passava una faccia che valeva la pena ricordare.
-Fra, l’hai vista Miki?
-Dio, si.
-Mi prendi per matto se ti dico che è troppo bella per scoparsela?
-Per niente, fra. Sai com’è? La faccia che ti vorresti scopare, quasi mai corrisponde alla faccia di cui ti innamori.

17/02/20

Velocità


Sembrava uscita da un film di azione da record al box office. Aveva l’aria di una che ne sapeva ancora poco di questo mondo, eppure più di quanto potevi saperne tu. Nella vita, faceva quello che facciamo un po’ tutti per sentirci vivi di fronte al sole e poi alla luna. Ma lei lo faceva con una onestà disarmante. Si immortalava in quei suoi abiti moderni che sceglieva con gusto, sicurezza e menefreghismo femminile, e avanzava verso la meta del giorno o della notte, passando attraverso un’infinita quantità di punti vivi che evidenziavano il suo fedele corpo e la facevano distinguere dalla massa. Difficile non riconoscerla fra altre mille. Impossibile non notarla in mezzo a cento.
Ma oggi, e anche ieri e poi domani, dov’era finita? Un tipo mi ha detto di averla vista entrare in un locale verso mezzanotte. Ma un altro tipo, alla stessa ora, mi ha detto di averla vista salire in macchina e partire veloce. Tutti, a gran voce, sembravano voler dare un contributo significativo per ritrovare quella ragazza senza nome che ormai era sfuggita anche ai social. Invisibile, inafferrabile e indomabile, la misteriosa ragazza era stata chiamata Velocità. In rete, era l’hashtag più in voga. In posa, naturale o con quel sorriso mai banale, infrangeva ogni regola conosciuta e spaccava da dentro gli schermi al plasma. Come un fantasma, Velocità si muoveva nella notte ma senza mettere paura. Ti passava vicino, sfrecciava dietro l’angolo e prima che tu potessi riprenderla era già arrivata all’altro capo della città. Ora c’era il sole. Ora pioveva a dirotto. L’arcobaleno, autentico lusso terreno, era un segnale del suo passaggio. Della sua armonia, solo un assaggio.
Oggi, un tipo mi ha detto di averla vista accanto a me. Ma io non la ricordo.

10/02/20

Mi sono accorta di te


Solitamente non cercava la felicità. L’attendeva, come le foglie più timide fanno con l’aria. L’amaro che stringeva nella mano gli ricordava quanta dolcezza aveva lasciato andar via negli ultimi tempi. Di colpo, si era reso conto di aver subìto il peso indiscusso di chi era stato più forte di lui. E di chi continuava ad esserlo, insolente e menefreghista verso il prossimo. Approssimava il calcolo effettivo del suo vissuto, arrotondava il numero degli anni passati e quelli futuri a seconda del proprio umore. Assecondava ogni sua discutibile inclinazione a farsi del male, rispettandosi e amandosi così raramente che gli era ormai sfuggito il significato. Parole che anche il vocabolario più aggiornato aveva abbandonato, ripiegando su termini più intuitivi e meno evocativi. Una qualche vocazione l’aveva anche avuta, forse, quando aveva iniziato quella cosa lì per poi lasciarla andare fino a dimenticarla. Aveva trovato un’altra cosa, poi, e aveva lasciato anche quella.
Solo quel locale aveva una qualche predisposizione a farlo riscoprire da capo. A conoscersi di vista, a riconoscersi attraverso il grande specchio dopo la vera conquista. Lei, apparentemente su un altro pianeta, lo aveva notato. Lo aveva fatto di proposito, a far cadere quella moneta. Si era avvicinata al suo tavolo, rossa. E con quella mossa un po’ goffa aveva lasciato un dolce biglietto accanto all’amaro: “Forse non lo sai, ma io mi sono accorta di te.”