27/11/22

Un brindisi da ricordare


La situazione era questa: eravamo io, Marco, Mattia, Alessandro, Elena, Marta e Giulia. La serata volgeva al termine mentre iniziava l’ultimo giro di bevute. Il tempo era volato, fra una chiacchiera e l’altra, risate, battute e ricordi speciali.
- A cosa brindiamo stavolta? - Aveva domandato Giulia.
- A momenti come questo. - Aveva risposto Elena.
- Banale. -
- Allora proponi tu, Mattia. Sentiamo quanto è originale il tuo. - Era intervenuta Marta in difesa della sua amica.
- Io direi di bere e basta. I brindisi sono una perdita di tempo. - Aveva detto Ale.
- Se andiamo avanti così non la finiamo più. Fate come vi pare, io nel frattempo bevo. - Avevo concluso, prima di appoggiare le labbra al mio bicchiere e mandare giù. Gli altri mi avevano seguito e così anche l’ultimo giro era andato. Poi, nel silenzio generale, Marco si era alzato e aveva fatto uno dei suoi annunci: - Ragazzi, qui c’è qualcosa che non quadra. -
- Del tipo? - Aveva chiesto Mattia.
- Ora non cominciare con le tue follie, Marcolì. È tardi. -
- Lasciamolo parlare, Marta. Sono curiosa di sentire cosa si inventa questa volta. - Aveva detto Giulia.
Per darvi un’idea di ciò che sarebbe potuto accadere, dovete sapere che Marco era un tipo un po’ particolare. In realtà sarebbe più opportuno dire che non ci stava molto con la testa. Oppure ci stava più di tutti noi messi insieme; questo potrebbe spiegare il perché non riuscivamo mai a seguirlo nei suoi viaggi.
- Non ditemi che non ve ne siete accorti. - Aveva proseguito Marco dopo aver posato il suo bicchiere sul tavolo. - Dovete esservene accorti per forza. -
- Ma di cosa? - Avevo chiesto io, impaziente di arrivare al dunque.
A quel punto Marco si era spostato. Era andato prima verso il bagno, affacciandosi all’interno, poi in cucina e poi in camera da letto. Infine era tornato nella sala in cui eravamo tutti in attesa di una spiegazione.
- Allora? - Aveva domandato Elena, dando voce ad ognuno di noi.
- Allora spiegatemi perché Andrea si trova qui con noi. Avanti, spiegatemi il motivo. - Aveva risposto Marco con le braccia incrociate.
Io e gli altri ci eravamo guardati con certe espressioni che erano tutte un programma; avevamo il timore che la faccenda potesse prendere una strana piega, difficile da gestire o da mandare giù.
- Marco... - Avevo proseguito io. - Se stai parlando del nostro Andrea, è chiaro che lui non può trovarsi qui con noi. Quindi, perdonami, ma di chi stai parlando? -
Marco aveva preso un gran respiro, come se avesse dovuto prepararsi al discorso della vita. 
- Certo che sto parlando di lui, amico mio. Di chi, altrimenti? -
Poi si era interrotto all'improvviso mentre sembrava dovesse aggiungere altro. Ci aveva fatto segno di fare silenzio, anche se nessuno di noi pareva intenzionato a dire qualcosa. Si capiva che l'idea generale era quella di farlo sfogare, nella speranza che finisse il prima possibile; si stava addentrando in un campo minato, e nessuno di noi sarebbe stato in grado di schivare una bomba.
All’improvviso si erano spente le luci e aveva cominciato a fare freddo. Gelo, a dire la verità.
Eravamo seduti intorno al tavolo, mentre Marco era ancora in piedi davanti a noi, le mani protese nella direzione opposta alla nostra.
- Forse ora ho capito… - Aveva annunciato, prima di girarsi verso di noi con in mano un foglio.
Si era avvicinato al tavolo e aveva posato il foglio fra i resti della cena. Ci siamo allungati tutti per vedere meglio di cosa si trattasse; le tre candele accese erano l’unica fonte di luce in quel buio pesto. Il gelo si era attenuato.
Avevo notato subito che era un foglio liscio, senza alcuna piegatura. Su di esso c’era scritto: “I brindisi non sono mai una perdita di tempo, Ale. E già che ci sono (si fa per dire), vi consiglio di brindare alla vostra bellezza.
Ci rivedremo, chissà, in qualche altro posto.”
Le righe, come avremo notato qualche secondo dopo, provenivano senza dubbio dalla vecchia macchina da scrivere di Andrea, mentre la sua firma (con la sua calligrafia) era impressa a penna.
Siamo rimasti per qualche istante mezzi pietrificati. Marta era scoppiata a piangere, e mentre singhiozzava era tornata la luce nella stanza.
Marco aveva preso in mano il suo calice e aveva guardato a turno ognuno di noi. Alla fine ci eravamo alzati e lo avevamo assecondato.
Non so di preciso a cosa stessero pensando gli altri durante quel brindisi impossibile, ma una vaga idea me l’ero fatta.

24/11/22

Ti tengo in pugno


Lui era steso a pancia sopra, con la mano sinistra nei capelli di lei che gli stava addosso con il suo seno umido. La mano destra si divideva fra la sigaretta e il bicchiere di whisky con ghiaccio. I loro piedi giocavano. La radio passava gli Stones.
-Sai, Otis, stavo pensando a una cosa.-
-Che la musica non ti piace? Under My Thumb è un bel pezzo.-
-No. Stavo pensando che forse mi sono innamorata di te.-
-Sentirselo dire dopo una scopata non mi fa impazzire dalla gioia, chery, ma è già qualcosa.-
-Allora mi ami anche tu, cerbiatto?-
Otis guardò con tristezza il fondo del bicchiere, poi si alzò per fare rifornimento lasciando la piccola chery sola, nel grande letto a due piazze.
-Non lo so.-
La donna non aprì bocca per qualche secondo ma continuò a fissare Otis. Aveva tutta l’aria 
di una cagnetta abbandonata che osservava con amarezza e rancore il suo bastardissimo padrone.
-Conosco quell’espressione, chery. Al Moulin Rouge ti pagano pure per impietosire, oltre che per alzare la gonna.-
-Con te ha funzionato, figlio di puttana.- A differenza del contenuto, il tono era quasi dolce. Come se l’avesse chiamato di nuovo cerbiatto.
-Ha funzionato come la pacca sul culo che ti ho dato nel parcheggio.-
-Si. E ho capito subito che non eri un francese.-
-Mi chiamo Otis. Sono americano. Cosa ti aspettavi?-
-Avresti potuto portarmi sulla riva della Senna. Avresti potuto baciarmi a mezzanotte, come in quel film di Woody Allen.-
-Midnight in Paris dici? Non mi pare che Gil si baci con qualcuna a mezzanotte.- Otis mandò giù un altro bicchiere, in piedi, con un'aria indisponente. La piccola se lo guardava. L'avrebbe ucciso con le proprie mani, se ne avesse avuta la forza.
-E comunque, chery..- Posò il bicchiere sul bancone, che aveva il segno di troppi gomiti, come quelli dei pub. -Quando siamo usciti, la mezzanotte era già passata da un pezzo.-
Guarda di chi mi sono innamorata, pensava la piccola chery mentre si girava dall'altro lato del letto. Ora, dalla finestra spalancata, riusciva a vedere una parte della Torre Eiffel. Lo faceva sempre, quando era da Otis. Le piaceva quella prospettiva, cioè di una vita con lui. Le piaceva da morire. La sarebbe venuta a prendere al locale quando staccava presto e l'avrebbe portata a mangiare carne da Lorette. Magari non tutte le sere, ma almeno due volte alle settimana. E se aveva il turno di notte, avrebbe cucinato per lei. Sempre sulla luna, eh? Pensava. Con i piedi per terra, mai?
Ora Otis era seduto sul letto, dalla propria parte. Stava dando qualche tirata alla sigaretta.
-Ti ricordi quando l'abbiamo fatto in sala prove?- Le domandò.
-Si.- Se lo ricordava bene, la piccola chery.
-Tu eri seduta alla batteria e facevi finta di suonarla, perché non sapevi come fare. Io ero steso sul tappeto. Ti sei alzata, hai toccato il piatto con due dita e hai improvvisato un ballo sotto le note di Cover Me.-
-Di chi è quel pezzo?- Non se lo ricordava.
-Bruce Springsteen.-
Fece un'altra tirata, poi continuò.
-Mi dissi che non mettevo mai musica francese, e io ti promisi che la volta dopo l'avrei fatta scegliere a te. Ma nessuna delle successive fu bella come quella volta.-
-Credi che non furono belle per colpa della musica?-
-Non lo so, chery. Ma è un dato di fatto.-
La piccola si girò verso Otis.
-Già che ci siamo, ti ricordi altro di quel pomeriggio in sala prove?-
-Dovrei?- Fece lui, realmente dubbioso.
-Per terra. Vicino alla cassa della batteria. Un tanga. Molto simile a questo, ma non identico.- La piccola tirò l'elastico di quello che indossava, poi lo lasciò sbattere sui fianchi.
-Vuoi farlo di nuovo?- Le domandò.
Lei si mise seduta accanto a lui e diede un'occhiata là sotto.
-Ti stai eccitando, cerbiatto. Non era questo il mio scopo ma tanto vale...- Gli mise la mano sul pene nudo.
Lui tentò di girarsi. Voleva farsela di nuovo.
-No. Rimani seduto. Voglio continuare così.- Gli disse.
Otis stava cominciando ad eccitarsi parecchio.
-Che ore sono?- Domandò lei.
-Hai fretta, chery?- Alzò la testa verso l'orologio a muro sopra al frigo. -Quasi le 2.-
-Allora ci siamo.- Gli disse, sorridendo. Poi smise di toccarglielo.
Otis se la guardò. Non capiva che cazzo stesse dicendo, e perché si fosse fermata. Avrebbe capito pochi istanti dopo, ma non in quel mondo.
-Addio, cerbiatto.- Gli sorrise di nuovo, e Otis andò indietro a corpo morto. Mezzo steso e completamente nudo. Con un buco in testa.
Il colpo si era percepito davvero poco. Avrà usato un silenziatore o qualcosa del genere, pensò la piccola chery. Se ne avesse saputo qualcosa di questa roba, non avrebbe certo pagato un professionista.
Ora chery era in finestra, si limitò ad alzare il pollice. Lui, al secondo piano del palazzo di fronte, sopra a Lorette, le fece un cenno con la mano che lei non capì. Sarà un loro modo di dire “ok”, pensò. Sono strani, questi tipi. E pure costosi. Ma se non hai una pistola e non vuoi sporcarti le mani, sono un'ottima soluzione. Pensò che quello sarebbe potuto diventare il suo personale killer d'amore.
Tornò a sedersi accanto a Otis. Lo guardò dritto negli occhi spalancati.
-Avresti dovuto dirmelo, cerbiatto, a chi apparteneva quel tanga. Se me l'avessi detto, che era di quella puttana della mia collega, non avrei dovuto farmi un culo così per scoprirlo da sola. Te l'avevo detto che non era mio.-
La piccola chery, che ora piangeva, era stata un'ottima attrice quella notte. Aveva fatto la parte della donna presa per il culo, che non sapeva di esserlo. Una donna tenuta in pugno dal proprio cuore, che non ha le palle di vedere in faccia la realtà e di metterlo nel culo a lui.
Ma quella notte, fra le varie cose che la piccola chery aveva tenuto in pugno, c'era pure il proprio cuore.
Quella notte, la piccola chery gliel'aveva messo nel culo. A modo suo.

(2013)

20/11/22

Maneggiare con cura


- Levatele il vino, per cortesia. -
Aveva spezzato il silenzio e colmato il vuoto lasciato dall'imbarazzo; ora la stanza risuonava di vergogna.
Mirko l'aveva sostenuta, supportata, sollevata. L'aveva tolta dalla strada dopo che i suoi l'avevano cacciata di casa; ora non le rispondevano neanche più al telefono. Lei se lo sognava uno come Mirko, ma quando finalmente era riuscita a metterci le mani sopra, aveva iniziato a dare il peggio di sé. La parabola autodistruttiva di Veronica affondava le radici nel rapporto con i suoi, che per scherzo (dicevano loro) usavano definirla la pecora nera della famiglia. Non eccelleva in alcuno sport. A scuola brutti voti. Fuori di lei il vuoto mentre esplodeva dentro. Le compagnie non mancavano ma erano sporche e avvilenti. Non c'era via d'uscita per Veronica, se non quella di lasciarsi andare alla sperimentazione di certe sostanze; la via era tracciata. Il solco, profondo.
- Possibile che non ti rendi conto? - Aveva proseguito Mirko, dopo che Anna, sua sorella, aveva strappato il bicchiere dalla mano di Veronica. - Che diavolo stai facendo, Vero? Dove cazzo vuoi andare a finire? -
Lei, che fino a quel momento aveva riso di gusto, ma con poco gusto, si era bloccata per un istante ed era poi scoppiata in lacrime. Ora la vergogna urlava, e il suo viso si era nascosto nel maglione rosso di Anna. Mirko si era alzato e aveva aperto la finestra che dava sul cortile; un respiro profondo in cerca di aria nuova. Gli altri avevano accampato qualche scusa e avevano abbandonato l'appartamento. Ora che erano rimasti loro tre si poteva parlare più apertamente.
- Mi viene da vomitare. - Aveva annunciato Veronica.
- Ci penso io. - Anna aveva fatto un cenno a Mirko e l'aveva seguita in bagno.
Mirko proseguiva nella sua ricerca del respiro perfetto. Di recente aveva letto una specie di manuale sulla respirazione, che in pratica spiegava come respirare nel modo giusto. Stava facendo progressi, eppure in quel momento gli sembrava tutto maledettamente complicato, perfino respirare come Dio comandava.
Nel frattempo avevano citofonato. Doveva essere certamente Luca, famoso per dimenticare le cose in giro.
- Cosa ti sei scordato questa volta? - Aveva chiesto Mirko al suo interlocutore al citofono.
Dall’altra parte c’era stato silenzio per qualche istante, poi una voce balbettante aveva asserito di essere il corriere.
- A quest’ora? - Aveva chiesto Mirko, dubbioso.
- C’è il b…black friday. Fa…facciamo gli straordinari. -
Mirko aveva dato un’occhiata al suo orologio, che segnava circa mezzanotte.
- Mi sembra comunque troppo tardi per una consegna, e poi io non aspetto nulla. -
- N… non si preoccupi. Facciamo t… tutto noi. Tenga s…solo a mente che è una consegna c…catalogata come “fragile”. -
- Ok. - Aveva risposto Mirko, perplesso. - Devo scendere? -
- No no, s…sta già salendo lei. Buona f…fortuna. -

Mirko aveva aperto la porta di casa e si era ritrovato davanti Veronica. Nessuno dei due aveva aperto bocca. Lui era tornato alla finestra a cercare quel famoso respiro che molto probabilmente non avrebbe mai trovato, almeno per quella sera. Lei era dietro di lui, in attesa di qualcosa.
Dalla finestra opposta nel piccolo cortile, Mirko riusciva a vedere nitidamente una coppia che litigava. Lei aveva appena afferrato un coltello a l’aveva piantato nel cuore di lui; Mirko si stringeva la mano al petto dopo aver sentito una forte fitta.
Veronica era appena uscita dal bagno e aveva raggiunto Mirko davanti alla finestra. Lui si era girato e aveva visto solo Anna. 
- Come sta? - Aveva chiesto a sua sorella.
- Meglio. Ora si è messa a riposare. -
- Mi sta uccidendo, Anna. Lo capisci? -
- Si, fratellino. Lo capisco. E sinceramente non credo tu possa salvare entrambi. -
Anna aveva guardato Mirko negli occhi come forse mai aveva fatto finora.
- E te lo ripeterò fino alla nausea, fratellino: stai continuando a confondere l’amore con qualcos’altro. -
Mirko si era girato di nuovo verso il cortile; stava provando a respirare come gli aveva suggerito quel manuale.