20/11/19

Amore artigianale


La vista del sangue gli procurava una certa angoscia, per così dire. In quel momento, però, era più che altro una scocciatura. Era davanti allo specchio, suo nemico giurato da tempo, intento a controllare la bontà della sua rasatura. C’erano delle parti da sistemare, aveva notato, ma quello che più gli premeva, in realtà, era fermare il sangue che si intravedeva in ben cinque punti distinti: due erano fra il naso e il labbro superiore, gli altri tre appena sotto al mento. Non davano alcun dolore, quasi non si sentivano per quanto erano piccoli. Il fastidio, più che altro, era l’idea di doverli tamponare con un cotton fioc e magari anche dell’acqua ossigenata, nel caso il sangue non si fosse fermato al primo tentativo. E dato che quei minuscoli tagli non ne volevano sapere di dargli tregua, Andrea aveva bagnato per bene i cotton fioc e li aveva premuti contro le ferite, che già dopo qualche secondo stavano per diventare totalmente invisibili all’occhio umano.
Andrea era giovane. Sui 25 o poco più. In quel periodo, se ricordo bene, aveva avuto una pesante perdita d’amore, di quelle per cui si finisce mai di soffrire. Roba che ti porti avanti finché campi, di sicuro. Lei, Miriam, era stata al suo fianco per circa 6 anni. Si erano lasciati più di una volta ma si erano sempre ritrovati, davanti ad una pizza o sotto le coperte quando fuori pioveva a dirotto. Poi, dopo l’ennesimo punto morto, era giunta la rottura definitiva. Lui ci sperava, in realtà, che quella rottura potesse diventare nuovamente una passione ritrovata, che li avrebbe condotti chissà dove ma comunque da qualche parte, insieme. E magari anche lei, lo sperava. Ma, a conti fatti, fra i due si erano interrotti i contatti. Spezzati, bloccati. Forse per sempre, come pensava Andrea. Un’ipotesi plausibile che lo aveva fatto entrare in una pericolosa spirale di sofferenza e di incubi.
Erano circa le 22. Si era dato un’ultima occhiata allo specchio e aveva deciso che poteva andare. Era passabile. Aveva deciso, seppur stanco dalla giornata di lavoro, che quella sera non gli andava per nulla di buttarsi a letto e cercare qualcosa da vedere in tv. Sapeva che avrebbe iniziato a cambiare canale ogni minuto senza trovare qualcosa che stimolasse davvero il suo interesse. Aveva pensato di fare una chiamata a suo fratello ma poi aveva subito rinunciato, dando per scontato che avesse avuto di meglio da fare che uscire con lui. Si era messo qualcosa addosso, senza soffermarsi troppo su come gli stava quel giacchetto nero su quegli anonimi jeans come n’era pieno il mondo. Era uscito senza avere una meta, come spesso gli capitava in quei giorni, con la voglia di ritrovarsi con l’animo leggero, in pace, senza dover assecondare le immagini sparate dalla sua testa, piene di ricordi ma di una sola voce che lo faceva affondare nel marciapiede mentre camminava. Ovunque si fosse ritrovato dopo un’ora o più, Andrea sperava di volare fra le braccia di una donna, passare la notte da protagonista, con lei, levarsi di dosso il male e smetterla di vivere di riflesso.

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Si chiamava Lucia, ma in pochi la chiamavano così. Le conoscenze di vecchia data, forse, che non sapevano che quella strana bambina era ormai cresciuta e aveva deciso che Lucy era un nome meno banale e più affascinante. Proprio come lei, oggi, che aveva circa 30 anni e possedeva un piccolo pub a Trastevere, che aveva chiamato “Lucy”, non lontano da San Cosimato. Non era stata casuale la scelta del posto; Anna, la sua povera madre che era morta di cancro qualche anno prima, aveva un banco di frutta proprio in quella piazza. Del padre, che io sappia, non c’era mai stata l’ombra. Qualcuno, però, diceva di averla vista una mattina mentre passava per la piazza accompagnata da un uomo. Aveva il suo zainetto in spalla, sorrideva neanche su richiesta come sempre, ma in quell’occasione non era certo la mano della madre che stringeva. Ma quello era rimasto un caso. Perché nessuno, in realtà, ha mai saputo qualcosa di concreto sulla figura del padre. E delle tante voci che giravano in merito, io, come altri, ho ritenuto sempre che ce ne fosse una, più di tutte, che nella sua spropositata assurdità poteva avere un fondo di verità. Da piccola, si credeva che Lucia potesse essere imparentata con qualche creatura demoniaca. Si era giunti addirittura a ritenerla la figlia del Diavolo solamente perché non era incline a sorridere al prossimo. Certamente un motivo piuttosto ridicolo e triste. Ciò che invece aveva fatto pensare anche a me che la piccola Lucia potesse essere qualcosa di insolito, era quell’espressione che avevo visto nei suoi occhi, soprattutto nel periodo in cui era diventata Lucy. Mi aveva ricordato, per un attimo, Emmanuelle Seigner seduta a letto davanti a Johnny Depp ne La Nona Porta di Polansky; due occhi impossibili da decifrare, appartenenti ad un altro mondo, che si immergevano totalmente nei tuoi nel momento in cui entravano in contatto. Rischiavi di rimanere fermo per una quantità di tempo immensa finché lei non avesse sbattuto le palpebre, ricordandoti di essere fatto di carne e di ossa.

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Stretto nel suo giacchetto, con il cappuccio che lo riparava dalla leggera pioggia e dal mondo invadente, Andrea camminava insicuro per le vie di Trastevere, non seguendo alcun percorso nella sua mente. Aveva preso il cellulare per controllare l’ora. Erano le 22.35. Stava pensando che si sarebbe potuto fermare a bere qualcosa al prossimo locale che lo avesse ispirato di più. Non faceva particolarmente freddo ma ci stava decisamente bene qualcosa di forte, giusto per tenere i pensieri al caldo in vista dell’idea che gli avrebbe cambiato la vita. Ma forse, in realtà, Andrea non sapeva nemmeno cosa stesse cercando; se un nuovo lavoro, un’altra donna, una più onesta consapevolezza del proprio essere, oppure, magari, una semplice cornice per dare risalto alla sua anima e riaccenderne la passione.
Si era fermato davanti ad una vetrina che rivelava parzialmente l’interno di un piccolo pub. Era invitante, secondo lui, e le poche persone sedute ai tavoli davano l’impressione di godersi davvero ciò che stavano bevendo. Dietro al bancone c’era un omone, forse un po’ goffo ma dall’aria simpatica, intento a servire l’unico cliente che sedeva su uno degli sgabelli. Stranamente, però, non aveva ancora visto qualcuno che serviva ai tavoli. Magari era in pausa.

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Erano circa le 22.30. Lucy, ferma davanti allo specchio della sua camera, si osservava attentamente alla ricerca di un qualche difetto che la facesse sembrare più umana di quanto sembrava. Aveva quell’espressione. Quello sguardo che andava al di là della nostra comprensione e del nostro modo di vedere le cose. Lo specchio, in silenzio e immobile di fronte a lei, ne restituiva un’immagine solo parziale. Non riusciva, pur sforzandosi, a mostrare Lucy nella sua totalità e a rivelare alla stanza tutti i segreti della sua vera natura.
Aveva indossato un impermeabile nero ed era scesa giù nel locale. Chiunque si sarebbe voltato a guardarla ma non la clientela del suo pub, che evidentemente era abituale. Aveva fatto un cenno ad Ulisse, il suo fidato barman e tuttofare, ed era uscita all’esterno. Si era girata a destra, poi a sinistra, e aveva visto quel ragazzo davanti alla vetrina del suo pub. Lucy aveva da fare, cose da sbrigare in fretta che le avrebbero portato via una mezz’ora al massimo, ma in quel momento le sembrava più giusto volgere le sue attenzioni a quell’anima che le aveva dato l’idea di essere completamente in pena.
- Mi sono sempre chiesta perché indossate il cappuccio anche quando non piove. -
Il ragazzo, preso alla sprovvista, si era voltato verso di lei e poi non aveva più smesso di guardare i suoi occhi, finché lei non aveva parlato di nuovo.
- Ha smesso, eppure tu, come altri, indossi quel cappuccio che ti nasconde il volto. Non starai mica pensando di rapinare il mio pub, vero? - Gli aveva chiesto, sorridendo. - Perché non ci troverai molto, di martedì. -
Il ragazzo aveva alzato gli occhi al cielo, non aveva sentito la pioggia sulla faccia e si era levato il cappuccio. Poi era tornato a fissare la donna che gli stava davanti. Gli sembrava di averla già vista da qualche parte ma lui, in quel posto, non ci era mai stato. E a Trastevere non ci capitava spesso.
- In realtà ha smesso da poco. - Le aveva risposto. - E stavo pensando di bermi qualcosa. -
Era tornato a guardare all’interno del locale. - Il tuo pub sembra davvero un bel posto. -
- Lo è. - Gli aveva detto Lucy. - Entra, ti farò prepare qualcosa di speciale. Offro io. -

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Una volta entrato, Andrea aveva subito riconosciuto il pezzo. Era “Seventeen” dei Ladytron. La situazione che si era creata, seppur piacevole, era abbastanza particolare per lui che non era certo abituato a ricevere drink in offerta, tantomeno da donne affascinanti come lo era lei. E il fatto di trovarsi in un posto gradevole con della musica che apprezzava, gli dava più sicurezza. In qualche modo, aveva con sé un po’ del suo mondo.
Avevano preso il tavolino più distante dal bancone. Si erano presentati, ma, a parte i nomi, non si erano raccontati molto a vicenda. Lei lo aveva messo a suo agio con qualche battuta e poi aveva chiamato il tipo dietro al bancone. Era grosso, ancora più di quello che sembrava a vederlo da fuori. Lucy aveva ordinato un’acqua tonica con limone, per lei (gli aveva detto di aver bevuto fin troppo per quella sera), e un “Craft Love” per Andrea.
- Dimmi almeno con cosa è fatto, allora. - Le aveva detto lui. Curioso ma anche un po’ preoccupato del fatto di non sapere cosa avrebbe mandato giù. Gli piaceva bere, ogni tanto. Reggeva un po’ tutto. Ma cose del tipo “bere a sorpresa” non gli andavano molto a genio.
- Fidati, è buono. Non devi sapere altro. Poi voglio un giudizio sincero, però. -
- D’accordo. - Le aveva risposto lui, che sapeva di non avere altra scelta. D’altronde, che motivo avrebbe avuto per non accettare un drink da una come lei? E comunque, una volta, aveva assaggiato anche l’assenzio. Poteva essere più forte dell’assenzio?

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Quello che poco prima poteva essere considerato un docile agnello che sorseggiava il suo drink, ora era diventato un lupo famelico che divorava il corpo della sua donna per una notte. Molto probabilmente, Andrea e Lucy avevano ben poco in comune. Ma ora, al di là di qualsiasi previsione, erano nello stesso letto a scambiarsi il loro sesso a vicenda.
La camera di Lucy, in fondo al corridoio sopra le scale del pub, era una camera come qualsiasi camera di un discreto hotel, arredata con lo stretto necessario. L’unico dettaglio che la rendeva un minimo personalizzata, era quel quadro orizzontale posto alle spalle del letto, sopra la testiera. Ritraeva Iggy Pop durante un concerto, in una delle sue pose più caratteristiche, rigorosamente a petto nudo. Sia alla destra che alla sinistra del quadro, c’erano due piccole casse da cui si sentiva della musica; prima “Cry for Love” e ora “Home”. Nella parte opposta, c’era lo specchio verticale di Lucy. Se io, oppure chiunque altro, fossi entrato in quel momento nella stanza, quasi certamente mi sarei dovuto levare ogni cosa di dosso a causa dell’elevata temperatura. Quanti gradi ci fossero non ne ho idea, ma vi dico che il vetro della finestra, a un certo punto, si era completamente appannato. Non c’era il riscaldamento, e la piccola stufa ai piedi del letto era spenta. I corpi dei due amanti si erano scaldati così tanto quasi da far andare in fiamme l’intero edificio. Andrea non poteva vedere ciò che stava accadendo a Lucy, perché in quel momento la sua faccia era attaccata alla sua vagina, ma se avesse potuto vedere, forse, si sarebbe fermato almeno per un secondo e avrebbe cercato di razionalizzare ciò che i suoi occhi gli avessero proposto.
A Lucy erano spuntate un paio di corna rosse, che finivano con una punta sottilissima. Una delle due, la destra, aveva una particolarità; una specie di campanellino era posto nella parte più alta. In pratica, aveva una sorta di piercing che suonava ad ogni suo movimento. Andrea non se n’era accorto perché quello che aveva in bocca gli aveva fatto perdere completamente la cognizione del tempo e dello spazio. Non si era reso conto, almeno fino a quel momento, che quella roba che stava succhiando assomigliava tantissimo al “Craft Love”, quel drink che aveva sorseggiato come un agnellino poco tempo prima. E non si era reso conto neanche del fatto che Iggy Pop aveva iniziato a muoversi sul palco, sulle note di “Cold Metal”. Andrea e Lucy, senza dubbio, si trovavano nel nostro stesso universo. Ma posso garantirvi che, se io o chiunque fra di voi avesse varcato la soglia di quella stanza, in quel preciso momento, si sarebbe ritrovato davanti agli occhi una situazione inconcepibile per il modo in cui siamo stati abituati a vedere questo nostro mondo.

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Andrea era steso a letto, su un fianco, consumato da quel sesso demoniaco. Aveva gli occhi mezzi chiusi ma riusciva ad intravedere Lucy appollaiata al soffitto, in qualche modo, mentre si masturbava e faceva cadere il suo amore artigianale verso il pavimento, dove c’era ad attenderlo un secchio di medie dimensioni. Andrea era riuscito a vedere tutto, più o meno. Aveva goduto, prima. Aveva sopportato, poi. Ma ora, in preda ad un’assoluta decadenza fisica e mentale, si era lasciato andare.

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Andrea era steso a letto, a pancia sopra. Su di lui, intento a lavorare con un coltello, c’era Ulisse, il barman tuttofare del “Lucy”.
- Non è una questione personale, amico, ma devo tirare fuori il tuo cuore dal petto per aggiungere una spruzzatina di sangue a quella roba. - Gli aveva detto Ulisse, indicando il secchio.
- Per completare il drink, capisci? -
Andrea, ancora in sé, si era girato e l’aveva visto. Poi aveva dato un’occhiata verso l’alto. Lucy non c’era più. Si era girato nuovamente verso l’omone che, stranamente, aveva conservato quell’aria simpatica da autentico barman che sa prendersi cura dei propri clienti. Le cure che ora, invece, stava riservando ad Andrea, erano completamente distorte e maniacali. Si divertiva, ci girava intorno a quella meta rossa chiusa in quel corpo che ormai, in ogni caso, era quasi finito. Giusto il tempo di fargli ripensare a quando, poche ore prima, era davanti allo specchio del suo bagno e si preoccupava di fermare il sangue che usciva da quei minuscoli tagli; un momento di assoluto piacere, se paragonato alla sua condizione attuale.

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Erano andate in quel pub come ormai facevano spesso dopo che Miriam le aveva chiesto un po’ di supporto. Aveva bisogno di avere gente intorno. Era uno di quei momenti. Uno dei peggiori.
Davanti ad un “Craft Love”,  la specialità del locale, Erica cercava di farle passare il male. O almeno di attenuarlo.
- Quindi, fammi capire bene… - Le aveva detto.
- Cosa senti, ora? -
Miriam non le aveva risposto. Aveva preso il suo bicchiere e aveva quasi finito il suo drink. Poi aveva dato un’occhiata al suo cellulare.
- È quasi mezzanotte. È tardi. - Le aveva detto.
Ma Erica non avrebbe mollato la presa. Se Miriam voleva il suo aiuto, lei ci avrebbe provato. Avrebbe cercato di trovare una soluzione, una via d’uscita più giusta ma comunque sopportabile. Però lei, da parte sua, avrebbe dovuto aprirsi.
- Lo ami ancora, vero? - Aveva insistito Erica.
Miriam aveva ripreso il bicchiere e aveva finito tutto il suo “Craft Love”. Poi aveva sospirato così intensamente da far muovere le pareti del pub.
- Si, cazzo. - Le aveva risposto. - Lo amo perdutamente. -