19/02/20

Facce


Seduti sul muretto, Andrea e Luca dipingevano affreschi di vita di periferia. Onesti, pacati, un po’ disgustati da quei luoghi, i due amici si rivolgevano a vicenda chiamandosi “fra”. Fra una tirata e l’altra, naturale o elettronica a seconda della faccia, si discuteva del casino della sera prima, della fame che dipendeva dalla mattina, dell’ultima sega a scuola e della nuova tipa sotto le lenzuola. Andrea, esemplare sfrontato e attore mancato, era figlio di Anna e Gianni. Luca, figlio dei suoi anni, contava i suoi restanti giorni di vita come se fosse un vecchio in pensione. Non gli mancava nulla, a parte un paio di genitori degni di questo nome. Il suo cognome si vergognava a doverlo scrivere. E quando di vivere non ne voleva più sapere, era Andrea che chiamava. Lui, devoto alla causa, si metteva in pausa. Stoppava la sua vita e piombava su quella del suo “fra”. Un giro al parco, una tedesca con Marco, in sala a rivedere “Fargo”. E poi tutte quelle cose che non hanno senso ma che riempiono l’anima e tengono distanti la noia, il mal di pancia e il bianco sbagliato.
Appoggiati al muretto, Andrea e Luca vedevano passare le facce di quei momenti. Spettri, lupi, viandanti che pian piano affondavano nei marciapiedi mobili coi loro tormenti. Corpi spogli senza documenti a farsi largo nella melma. A farsi. A fasi alterne.
E in mezzo a loro, a volte, passava una faccia che valeva la pena ricordare.
-Fra, l’hai vista Miki?
-Dio, si.
-Mi prendi per matto se ti dico che è troppo bella per scoparsela?
-Per niente, fra. Sai com’è? La faccia che ti vorresti scopare, quasi mai corrisponde alla faccia di cui ti innamori.

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