12/02/14

Nel mito di Malibù



Eravamo io e lei sul divano, mezzi nudi. Io ero seduto, lei era stesa con la testa che posava sulle mie gambe (e non solo). Stavamo passando al vaglio un centinaio di foto stile polaroid che aveva scattato sua cugina. Erano tutte foto che ritraevano la splendida Malibù.
-Te la ricordi questa?- Mi fece lei, mettendomene una davanti agli occhi.
Io le diedi un’occhiata incerta. Ero piuttosto fatto. La foto ritraeva una spiaggia con un mucchio di gente e giganteschi ombrelloni per metà viola e per metà gialli.
-Si. Me la ricordo.-
Badate bene che io e lei non ci eravamo mai stati in quella spiaggia. Non eravamo mai stati a Malibù. Ci era stata sua cugina che a quell’epoca era una modella nel pieno della sua carriera. Poi morì di overdose. Cioè per aver assunto troppa Malibù. “Se non sai darti una regolata, a Malibù non ci puoi mica vivere”, ripeteva sempre. “Se non sarà la droga a fotterti, prima o poi lo farà qualcos’altro”.
Insomma, quella foto io me la ricordavo ma finiva lì. Io e lei non avevamo alcun tipo di ricordo legato a quell’immagine, semplicemente perché non riguardava il nostro passato né tanto meno il nostro presente. Speravamo che avrebbe riguardato il nostro futuro, si, quello non lo nego. Ma un conto è sperare, un conto è ciò che puoi effettivamente realizzare. Chi ha inventato quel detto che dice “volere è potere” dev’essere un gran coglione, mi ripetevo sempre.
-E questa? Questa te la ricordi?- Me ne spiaccicò un’altra in faccia. Ancora un’altra spiaggia. Ancora ombrelloni viola e gialli. Però stavolta c’era molta meno gente perché il tempo non era un granché.
-Si, mi ricordo pure questa.- Risposi io con un accenno di noia.
Cominciai a girarmi intorno alla stanza in cerca di tesori. Quella roba che ci eravamo fumati dove stava? E quella che ci eravamo bevuti? Lei mi prese la faccia con la mano destra e me la girò verso la sua. Esigeva attenzione, lo capisco. Ma stavamo guardando delle dannate foto che avevamo analizzato giorno e notte aspettandoci chissà cosa. Speravamo forse che ci avrebbero risucchiato dentro? Forse si, lo speravamo. Ma non avvenne mai. E sapevamo che non sarebbe mai avvenuto.
Lei accavallò le gambe ma sempre mentre era stesa. Il ginocchio dava l’impressione che la sua gamba destra fosse diventata una discesa delle montagne russe. E la sua coscia era la salita. Lei mi prese di nuovo la testa e me la spostò verso un’altra di quelle fottute foto. Ovviamente la riconobbi subito, visto che solo quella l’avevamo visionata per almeno 3 ore in tutto. Era la villetta della cugina, o meglio, di suo padre. Una villetta super moderna con quelle mega finestre lasciate così, senza tende o cazzi vari. Era a due piani. Sua cugina le aveva raccontato che lì dentro ci facevano di tutto. Una volta avevano organizzato un’orgia con rettili annessi. Cioè, ci si sbatteva di qua e di là mentre serpenti e simili giravano per casa. Non ho idea del motivo per cui facevano una roba simile, eppure la facevano.
-Questa te la ricordi sicuro, vero?-
Io sorrisi e lei mi diede un pugno sul petto. Mi fece male, ma mi piaceva parecchio quando faceva così.
-Sei il solito porco.- Mi disse, guardandomi con relativo disprezzo.
L’aveva fatto di proposito, a dare per scontato che io mi ricordassi bene di quella foto. E io c’ero cascato in pieno.
Continuò per qualche secondo a scandagliare le foto, ma ora lo fece più svelta, come se se la fosse presa davvero, oppure perché alla fine si era stufata pure lei.
Io ricominciai a guardarmi intorno e con la coda dell’occhio vidi lei che le stava buttando tutte a terra. Mi sentii un pò in colpa. Poi pensai che almeno non mi avrebbe più chiesto se mi ricordavo di quella o di quell’altra. Ma mi sbagliavo.
-E queste?- Fece lei, -Queste te le ricordi, cazzo?-
Io ero parecchio fatto, e non saprei dirvi di cosa. Però avevo sentito che ora aveva usato il plurale, ed ero sicuro di averle viste cadere tutte a terra quelle dannate foto.
Ero fatto. E quando vidi tutto buio non mi preoccupai più di tanto. A volte mi succedeva, e succedeva pure a lei.
-Allora?- Insistette, -Te le ricordi, queste?-
Mi resi conto che attaccato alla mia faccia c’era qualcosa che si muoveva su e giù, a destra e a sinistra. Era qualcosa di morbido, caldo e protettivo.
Quella cosa erano le sue tette. E io cominciai a muovere la faccia lì in mezzo.
-Allora te le ricordi…- Disse lei, mentre le sollecitava tutte.
Fu all’improvviso che cademmo dal divano. E fu in quel momento che mi resi conto che la roba era sotto al tavolo di legno davanti al divano. La vide anche lei e allora ci bloccammo. Eravamo indecisi sul da farsi. Cioè, se farci di quella roba o semplicemente se farci e basta. Alla fine scegliemmo entrambe le opzioni. Non ricordo bene in che ordine ma vi giuro che fu un delirio.
Eravamo a terra, completamente nudi, con le foto che ci facevano da tappeto.
E nel mito di Malibù, io e lei andammo sempre più giù.

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