Erano passati anni dall'ultima volta che si era osservata allo specchio. Certo gli era capitato più volte di specchiarsi, quasi ogni giorno, in realtà. Eppure non si era mai soffermata davvero su quella figura tanto familiare quanto sconosciuta. Nel frattempo il mondo aveva preso una piega inaspettata, così come la sua pelle, piegata e consumata dal verbo amare. Le stagioni procedevano spedite verso l'ignoto, gli ideali sotterrati rimanevano sotto terra, mentre il profumo dell'alba tramontava definitivamente. E mentre il trucco faceva il suo dovere, lei si chiedeva se avesse il diritto di essere felice. Una scomoda domanda che precedeva una scontata risposta; al diavolo. Avrebbe potuto chiedere proprio a lui, alla creatura demoniaca che possedeva i suoi sogni e li tramutava in assurdi incubi. Oppure, semplicemente, avrebbe potuto chiedere alla figura allo specchio, e attendere paziente di avere finalmente l'agognata risposta. Ma se avesse risposto o meno, se fosse riuscita a mettere insieme i pezzi e ad aggiustare ciò che si era rotto, avrebbe dovuto comunque fare i conti con la sua vita allo specchio. La donna, essenzialmente, una volta compresa e afferrata la propria natura, avrebbe dovuto dare un senso al suo essere lì in quell'istante. Al perché il suo viso era fatto in quel modo, e i suoi capelli più fradici di prima. Avrebbe dovuto allungare la mano verso il vetro e lasciarla andare oltre, cercando poi di dare una spiegazione ad ogni possibile scenario; universi e specchi paralleli, salite sconnesse e ripide discese ad ingannare l'anima. Che si stringeva e poi si allargava ad inseguire la vita.
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