Solitamente non cercava la felicità. L’attendeva, come le foglie più timide fanno con l’aria. L’amaro che stringeva nella mano gli ricordava quanta dolcezza aveva lasciato andar via negli ultimi tempi. Di colpo, si era reso conto di aver subìto il peso indiscusso di chi era stato più forte di lui. E di chi continuava ad esserlo, insolente e menefreghista verso il prossimo. Approssimava il calcolo effettivo del suo vissuto, arrotondava il numero degli anni passati e quelli futuri a seconda del proprio umore. Assecondava ogni sua discutibile inclinazione a farsi del male, rispettandosi e amandosi così raramente che gli era ormai sfuggito il significato. Parole che anche il vocabolario più aggiornato aveva abbandonato, ripiegando su termini più intuitivi e meno evocativi. Una qualche vocazione l’aveva anche avuta, forse, quando aveva iniziato quella cosa lì per poi lasciarla andare fino a dimenticarla. Aveva trovato un’altra cosa, poi, e aveva lasciato anche quella.
Solo quel locale aveva una qualche predisposizione a farlo riscoprire da capo. A conoscersi di vista, a riconoscersi attraverso il grande specchio dopo la vera conquista. Lei, apparentemente su un altro pianeta, lo aveva notato. Lo aveva fatto di proposito, a far cadere quella moneta. Si era avvicinata al suo tavolo, rossa. E con quella mossa un po’ goffa aveva lasciato un dolce biglietto accanto all’amaro: “Forse non lo sai, ma io mi sono accorta di te.”
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